Serbia. Conferenza “Conflitto. Stabilità. Democrazia?”

A Belgrado si è parlato dei problemi attuali e delle sfide future dei Balcani.

di Giuliano Bifolchi *

BELGRADO. L’Università di Belgrado ha ospitato la conferenza annuale dell’Associazione serba di Scienze politiche (SPSA) dal titolo “Conflitto. Stabilità. Democrazia?”, evento sostenuto dall’Associazione di Scienze politiche dei Balcani (BPSA), dalla Confederazione europea delle Associazioni di Scienze politiche (ECPSA) e dell’Associazione internazionale di Scienze politiche (IPSA), e che ha raccolto esperti e ricercatori del mondo accademico intenti a presentare e discutere i loro recenti studi sul futuro della regione dei Balcani focalizzando l’attenzione sulle problematiche inerenti ai conflitti interetnici, ai processi democratici e allo sviluppo socioeconomico.
La regione dei Balcani aveva attratto una significativa attenzione negli anni ’90 dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia in quello che era stato il conflitto post – Guerra Fredda nel continente europeo il quale, insieme alla Guerra del Golfo, fortificò la leadership mondiale degli Stati Uniti a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica in un nuovo periodo storico descritto da Francis Fukuyama come la “fine della storia” e da Samuel Huntington come l’affermazione dello “scontro tra civiltà”.
Nell’ultimo decennio nella regione balcanica ai conflitti passati, la cui risoluzione o gestione sembra non aver portato risultati stabili e duraturi nel tempo, se ne sono aggiunti di nuovi andando a creare un clima di tensione aggravato dagli interessi di attori esterni come l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Federazione Russa, e di recente la Repubblica Popolare Cinese. Si sono andate quindi a determinare nuove e crescenti disuguaglianze sociali che hanno influito sia sul processo politico regionale che su quello economico a cui si devono aggiungere la lotta per le identità etniche e nazionali e per l’autodeterminazione nazionale che erano radicate nei conflitti passati e che a diverse riprese animano i Balcani anche a causa dell’erosione dei diritti delle minoranze, della crisi migratoria e di una più ampia instabilità internazionale.
La domanda principale che ha interessato i diversi panel della conferenza era centrata sul rapporto stabilità – democrazia, perché la tendenza che spesso si va ad affermare in teatri che vedono conflitti interetnici e problemi di sicurezza e stabilità è quella di ridurre i diritti privilegiando quindi un maggior controllo da parte dell’autorità centrale con ovvie ripercussioni su quelle che sono la possibilità di promozione delle proprie idee e anche di realizzare un fronte politico di opposizione. Infatti, quando si parla di democrazia e conflitti etnici spesso si registra un peggioramento dei diritti delle minoranze etniche, una maggiore propensione alla xenofobia e alla paura dei migranti, la riduzione della libertà di espressione e delle attività dei media e anche della concorrenza politica il tutto a vantaggio, secondo modelli teorici e governativi che spesso non trovano riscontro pratico, di una presunta stabilità nazionale e regionale.
È significativo che questa conferenza, che ha visto diverse associazioni accademiche coinvolte, sia stata organizzata nella città di Belgrado, capitale di un paese come quello serbo in cui il confronto/scontro tra democrazia e stabilità è sempre molto forte. La Serbia può essere presa come caso esemplare nella regione balcanica perché il referendum del 2006 ne ha decretato la divisione dal Montenegro e nel 2008 il governo di Belgrado ha perso anche il Kosovo che ha sancito la propria indipendenza anche grazie al benestare dell’Unione Europea che, a seguito di questo evento, si è posta come figura mediatrice tra le due parti. Serbia che viene accostata spesso alla Federazione Russa e che ha vissuto periodi alternati di forte vicinanza e comunanza di obiettivi con il Cremlino ad una neutralità dovuta anche ai rapporti con Bruxelles. Di recente è apparsa nel panorama politico ed economico serbo la figura della Repubblica Popolare Cinese che ha inserito l’intera regione dei Balcani nella Belt and Road Initiative (conosciuta anche come Nuova Via della Seta), ha avviato progetti di investimento proprio sul territorio serbo e, visto il flusso crescente di turisti cinesi tra le strade di Belgrado e delle principali mete attrattive, ha siglato un accordo di cooperazione tra i corpi di polizia che vede girare per l’aeroporto internazionale Nikola Tesla e per il centro cittadino della capitale serba pattuglie di poliziotti formate da due cinesi e due serbi.
Gli Stati Uniti e l’Europa, ma anche la Russia, hanno visto crescere l’impronta cinese in Serbia come in tutta la regione con il rischio che le relazioni internazionali di questi paesi in futuro saranno maggiormente indirizzate verso la Cina. Eventualità non accettabile da parte di Bruxelles, Washington e Mosca considerando che i Balcani hanno una valenza strategica significativa perché connettono l’Europa centro-orientale e l’area mediterranea e perché, seguendo le teorie geopolitiche, fanno parte di quel Rimland che Nicholas Spykman descriveva come fondamentalmente strategico e la cui unione con l’Heartland sotto un unico potere (nel caso della Nuova Via della Seta potrebbe essere quello cinese) rappresenterebbe una seria minaccia per le altre potenze mondiali. Scontro geopolitico che si aggiunge e diventa parte dei conflitti interetnici locali e dei processi politici e democratici e che rischia di aggravare ulteriormente la situazione balcanicain una regione che è vicinissima all’Italia e in cui il governo italiano e il mondo imprenditoriale dovrebbero essere maggiormente presenti e attivi.

* Giuliano Bifolchi, University of Rome Tor Vergata – Department of History, Cultural Heritage, Education and Society. Co-founder of Association of Studies, Research and Internationalization in Eurasia and Africa (ASRIE).