di Giuseppe Gagliano –
In Serbia il vento della protesta non accenna a placarsi. Dopo sei mesi di mobilitazione innescata dal crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, una tragedia che ha causato 16 morti, il movimento studentesco ha ormai superato la soglia della rabbia civica e si è fatto soggetto politico. La richiesta è ora chiara: elezioni parlamentari anticipate. Non per conquistare seggi, ma per restituire dignità alla democrazia, in un Paese dominato dalla lunga ombra di Aleksandar Vucic e del suo partito SNS.
La miccia è esplosa nel novembre 2024. L’incidente ferroviario ha scoperchiato non solo responsabilità amministrative (già costate il posto a sindaco e ministri), ma un sistema intero, fatto di opacità, clientelismo e una progressiva deriva autoritaria. Il Fronte Verde-Sinistra, una delle forze d’opposizione, ha colto la palla al balzo: “Il governo ha perso ogni legittimità, studenti e opposizione condividono lo stesso obiettivo: rinascita delle istituzioni e democratizzazione”.
Ma la vera faglia della Serbia è geopolitica. Mentre Bruxelles ammonisce, il presidente Vucic guarda a Mosca. Ha confermato la sua presenza alla Parata della Vittoria del 9 maggio, ha ringraziato pubblicamente Putin e il patriarca Kirill per il sostegno nella “lotta contro una rivoluzione colorata”, e ha perso un alleato imbarazzante: Aleksandar Vulin, il falco filo-russo silurato dal governo dopo anni di provocazioni anti-UE e viaggi a Mosca. Ma Vucic non ha rinunciato alla doppia partita: rassicura l’Occidente con l’espulsione di Vulin, mentre rinsalda l’asse energetico e politico con il Cremlino.
In questo contesto si inserisce il grande affare del litio. Il giacimento di Jadar, tra i più promettenti d’Europa, è al centro di un braccio di ferro tra multinazionali (Rio Tinto), ambienti industriali tedeschi e la popolazione locale. Il progetto, sospeso e poi riabilitato dalla Corte Costituzionale nel 2024, promette ricchezza, ma minaccia acque, terre e salute. Per molti attivisti, è il simbolo di una Serbia colonia estrattiva: “Se Bruxelles sostiene Jadar, sceglie gli interessi industriali contro la democrazia ambientale”.
La protesta degli studenti si salda così con quella ambientale, e assume un carattere esistenziale: difendere non solo la democrazia parlamentare, ma la sovranità popolare contro la convergenza tossica tra interessi stranieri, elite corrotte e spinte autoritarie. Che Vucic riuscirà a contenere o strumentalizzare dipenderà anche dalla posizione dell’UE: accetterà una Serbia democratica ma indipendente o continuerà a scommettere su una stabilità compromessa?