Silvia Romano, i punti da chiarire sull’operazione di liberazione

di Mariarita Cupersito –

Silvia Romano, la giovane cooperante rapita nel 2018 in Kenya da un commando di uomini armati e rientrata in Italia la scorsa domenica dopo 18 mesi di prigionia, ha trascorso la sua prima notte presso la propria abitazione a Milano. Ora che la ragazza è al sicuro, si delineano i vari punti ancora da chiarire in merito all’operazione che ha portato alla sua liberazione.
I servizi di intelligence italiani hanno portato avanti la missione nel massimo riserbo con l’appoggio di altri paesi, in particolare la Turchia, che ha molti collegamenti in Somalia, e il Qatar, dove ha avuto luogo la trattativa finale e il pagamento del riscatto con una somma che, stando a quanto dichiarato dal portavoce dell’organizzazione Al Shabaab, non sarà impiegata solo nell’acquisto di armi ma anche per la popolazione civile.
L’operazione di liberazione si è svolta lo scorso 5 maggio, quando il capo dei sequestratori ha informato l’ostaggio che sarebbe potuta tornare a casa, come lei stessa ha raccontato ai magistrati. Dopo un viaggio in trattore di 3 giorni, nella notte tra l’8 e il 9 maggio la ragazza è salita su un’auto con a bordo agenti dei servizi segreti che l’hanno condotta all’ambasciata italiana di Mogadiscio. Non è chiaro se le persone a bordo dell’auto fossero italiane o turche. L’aiuto delle forze di sicurezza di Ankara si è reso necessario per la loro vasta rete di collegamenti in Somalia, ma c’è chi ipotizza che in cambio di tale collaborazione sia stato pattuito un sostegno italiano alle strategie turche in Libia. Il Qatar, con cui l’Italia ha grandi interessi economici e che ha importanti contatti con Al Shabaab, è l’altro paese arabo che ha avuto peso nell’operazione e nella conclusione della trattativa finale a Doha, da cui è anche partito il pagamento del riscatto.
Per quanto riguarda l’ammontare della cifra, diverse fonti concordano che sia pari a un milione e mezzo di euro, a cui vanno aggiunte le somme pagate negli scorsi mesi ai diversi informatori poi non sempre risultati attendibili.
Ali Dehere, portavoce di Al Shabaab intervistato telefonicamente da “La Repubblica”, in merito all’impiego di tali somme ha dichiarato: “Non siamo terroristi, controlliamo gran parte della Somalia, siamo nelle periferie delle città, nelle zone rurali, combattiamo contro la politica corrotta del governo di Mogadiscio”. Queste attività includono però azioni militari e attentati kamikaze. “Con i soldi del riscatto compreremo armi”, prosegue Ali Dehere “ma non solo, serviranno anche a gestire il paese, a pagare le scuole, comprare cibo e medicine per il nostro popolo, a formare i poliziotti che faranno rispettare le leggi del Corano”. Al Shabaab mira infatti ad imporre la Sharia in tutta la Somalia.
Dehere conferma inoltre che Silvia non ha subito violenza e che la sua conversione all’Islam, oggetto di numerose polemiche in patria, non è stata imposta: “Silvia Romano ha scelto l’Islam perché ha capito il valore della nostra religione dopo aver letto il Corano e pregato. Abbiamo fatto di tutto per non farla soffrire, anche perché era un ostaggio, non una prigioniera di guerra. Per noi lei era una preziosa merce di scambio”.