Siria. Al via il quinto round di colloqui del Comitato costituzionale

di Cristiano Greco

Nonostante le divergenze sorte nelle ultime settimane, da oggi Ginevra ospita il quinto round dei colloqui del Comitato Costituzionale, un organismo promosso dalle Nazioni Unite per porre fine alla crisi siriana. Il numero dei membri partecipanti al Comitato ammonta a 150: 50 sono stati scelti dal regime siriano, 50 dall’opposizione e i restanti dall’inviato speciale delle Nazioni Unite, Geir Otto Pedersen, che nella scelta ha tenuto conto del parere di esperti e di rappresentanti della società civile. Lo scopo degli incontri è redigere una Costituzione per la Siria che, una volta terminata, dovrà essere votata dal popolo siriano in modo da porre fine al conflitto.
Pedersen spera che questo ciclo di incontri possa rappresentare un punto di svolta. Lo stesso inviato dell’Onu in una conferenza stampa del 22 gennaio aveva affermato che nel caso in cui il Comitato Costituzionale venisse gestito in modo corretto, esso avrebbe potuto rappresentare il punto di partenza per il processo di ricostruzione della fiducia tra le parti belligeranti. Per raggiungere il risultato sperato sarà necessaria una forte volontà politica da parte degli attori interessati e si spera gli incontri iniziati oggi possano portare a un accordo su un piano d’azione chiaro che possa garantire un buon risultato nel processo costituzionale, oltre alla creazione di meccanismi e strumenti operativi efficaci.
Nonostante il cessate-il-fuoco stabilito da Russia e Turchia il 5 marzo 2020, la situazione in Siria potrebbe precipitare da un momento all’altro. A tal proposito proprio il 24 gennaio diversi civili sono rimasti feriti in seguito a un bombardamento perpetrato dal governo siriano contro la città meridionale di Tafas, nell’area rurale di Dara’a. Questo episodio è avvenuto mentre delegati di Damasco sono impegnati in negoziati con alcuni rappresentanti della regione meridionale di Dara’a, con l’obiettivo di convincere i membri dell’opposizione a riconciliarsi, deponendo le armi e trasferendosi a Idlib. Questi colloqui però non hanno portato alcun risultato e il clima di tensione non si è mai placato. Allo stesso tempo le forze di Bashar al-Assad hanno inviato rinforzi nella regione, facendo presagire un’escalation militare nel caso in cui i negoziati dovessero fallire.
L’area di Dara’a è infatti un’area con una forte valenza simbolica. Essa è stata la culla della rivoluzione in Siria. È in questa regione che i giovani ribelli scrissero sui muri i primi slogan anti-al-Assad. L’accordo per il cessate-il-fuoco a Dara’a, Quneitra e Suweida, risale al luglio 2017 ma, diversamente da altre zone ritornate nel corso degli anni nelle mani del regime, in quest’area non sono state dispiegate forze armate, facendo così affidamento sugli alleati presenti sul posto per garantire la sicurezza nella provincia. Questa mossa ha permesso ai combattenti dell’opposizione di rimanere nel governatorato, trovando rifugio nelle aree rurali a sud, est ed ovest e ricevendo il sostegno di Teheran e di Hezbollah. Altri combattenti dell’opposizione invece si sono uniti alle forze del regime appoggiato dalla Russia, stanziandosi del nord della provincia.
Nel frattempo anche nel governatorato di Idlib la tregua è stata violata dopo alcuni bombardamenti contro i villaggi della regione. Dobbiamo ricordare che il governatorato di Idlib rappresenta l’ultima roccaforte sotto il controllo delle forze di opposizione, la quale fu al centro di una violenta offensiva lanciata nell’aprile del 2019, poi bloccata dalla tregua concordata tra Russia e Turchia nel marzo 2020.