di Silvia Boltuc * –
Il 2022 ha segnato l’undicesimo anno di conflitto in Siria. Nonostante la sconfitta territoriale dello Stato islamico nel 2019 da parte delle Forze Democratiche Siriane (SDF) sostenute dagli Stati Uniti, i combattenti dell’IS continuano a operare come gruppo estremista insurrezionale.
Il contesto siriano è divenuto altresì il terreno di scontro di cinque attori esterni: Russia, Iran, Stati Uniti, Turchia e Israele. Mentre recentemente gli interessi iraniani e turchi sono allineati poiché entrambi i paesi stanno combattendo l’insurrezione curda, Israele conduce attacchi aerei regolari all’interno della Siria contro obiettivi iraniani, siriani e Hezbollah, che il governo israeliano considera minacce alla sua sicurezza.
Le forze statunitensi, turche e russe operano nel nord della Siria; mentre Washington e Mosca mantengono un canale di de-conflitto per evitare scontri involontari tra le rispettive forze, prendendo di mira gli elementi curdi delle SDF che il governo turco considera terroristi, Ankara potrebbe creare attriti con Russia e Stati Uniti. Nel 2017 Russia, Turchia e Iran hanno avviato il processo di pace di Astana per la risoluzione del conflitto, dividendo il Paese in sfere di influenza. Sebbene Ankara giustifichi le sue operazioni in Siria con la minaccia del terrorismo transfrontaliero, in realtà queste hanno trasformato la Siria settentrionale in una zona de facto di influenza turca.
In Iran aumenta il timore per le crescenti relazioni fra Turchia-Israele, confermate dalla cooperazione militare nel conflitto del Nagorno-Karabakh nel 2020. Teheran teme che vi possano essere iniziative congiunte turco-israeliane per minare l’influenza dell’Iran nella regione mediorientale come parte della politica estera espansionistica di Ankara che mira a rilanciare il controllo turco sugli ex territori ottomani, compresa la Siria.
Per quanto riguarda Washington, i funzionari dell’amministrazione Biden hanno affermato che gli Stati Uniti cercano una soluzione politica al conflitto in Siria coerente con la risoluzione 2254 (2015) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Le priorità politiche degli Stati Uniti in Siria sono principalmente la sconfitta dello Stato islamico e di Al Qaeda. I recenti attacchi turchi nel nord della Siria, però, hanno spinto le forze curde a minacciare di interrompere le loro operazioni antiterrorismo, invocando la condanna internazionale sugli attacchi turchi. Il segretario stampa del Pentagono, il generale di brigata Pat Ryder, ha affermato che il prolungamento del conflitto, in particolare un’invasione turca di terra, metterebbe seriamente a repentaglio le conquiste che il mondo ha ottenuto contro l’IS e destabilizzerebbe la regione.
Operazione Claw Sword.
Il 19 novembre 2022, la Turchia ha avviato l’operazione militare ‘Claw Sword’ (Pence Kılıç) nel nord e nell’est della Siria, ufficialmente per “sconfiggere il terrorismo”, in seguito all’attacco che ha colpito la vivace Istiklal Avenue di Istanbul, dove una bomba carica di tritolo è esplosa uccidendo sei persone e ferendone oltre 80. Le autorità turche hanno accusato dell’attacco il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e le Unità di Difesa Popolare (YPG), milizia curda siriana. I gruppi curdi hanno ufficialmente negato qualsiasi coinvolgimento.
Il 22 novembre 2022, un attacco di droni turchi ha colpito una base statunitense utilizzata dalla Coalizione Globale contro lo Stato islamico ad Hasakah in Siria, probabilmente per prendere di mira Mazlum Kobane (noto anche come Mazlum Abdi), comandante in capo delle SDF, che è nella lista dei più ricercati della Turchia.
Mentre il 18 novembre 2022 il consolato generale degli Stati Uniti a Erbil, la capitale del governo regionale del Kurdistan (KRG), ha affermato che il consolato stava seguendo “notizie attendibili secondo cui la Turchia avrebbe potuto condurre operazioni militari nel nord della Siria e nel nord dell’Iraq nei seguenti giorni”, durante un’intervista Abdi ha affermato di non essere sicuro se la Russia o gli Stati Uniti fossero a conoscenza dell’imminente attacco turco. Secondo Abdi, le forze armate turche hanno attaccato un’area profonda 70 chilometri nel loro territorio tra Raqqa e Hasakah, che è controllato congiuntamente dalle forze statunitensi e russe.
Le recenti dichiarazioni del presidente turco Recep Erdogan dopo quattro giorni di attacchi in Siria e Iraq, suggeriscono che Ankara stia pianificando anche un’operazione di terra. Per il comandante in capo delle SDF, il loro vero obiettivo potrebbe essere Kobani, una città altamente simbolica per i curdi, dove è stata lanciata la loro lotta nazionale ed è partita la lotta contro lo Stato Islamico. Mentre l’operazione aerea è stata condotta in autonomia, un’operazione di terra contro le forze curde situate nelle zone di influenza rispettivamente della Russia e degli Stati Uniti sarebbe impossibile senza il consenso di Mosca e Washington. Tuttavia, dato il recente disimpegno statunitense nella regione a favore dell’area dell’Asia-Pacifico ed il fatto che la Russia sia attualmente concentrata in Ucraina, Ankara ritiene che questo sia il suo momento per guadagnare terreno. “Sul campo di battaglia, d’ora in poi, il potere è nelle mani della Turchia”, scrive il Türkiye Newspaper commentando i rapporti di forza in Siria e Iraq. “Come risultato delle sue operazioni transfrontaliere, la Turchia è diventata una forza importante sul campo di battaglia”, ha osservato il giornale.
Nonostante Abdi abbia sottolineato che Kobani, Manbij e tutte quelle zone prese di mira dalla Turchia siano sotto il controllo russo, i recenti accordi di cooperazione tra Ankara e Mosca potrebbero spingere il Cremlino al silenzio. D’altra parte, va anche ricordato che durante il 18° round di negoziati del “formato Astana” a Nur-Sultan nel giugno 2022, il rappresentante speciale del Presidente della Federazione Russa Alexander Lavrentiev ha affermato che “è assolutamente impossibile parlare della riduzione delle forze russe in Siria”, o di un disimpegno della Russia.
Il vantaggio di Ankara è che le forze armate turche possono condurre operazioni militari dal loro territorio ovunque lungo il lungo confine turco-siriano e garantire la completa supremazia aerea. Quest’ultimo dettaglio è particolarmente rilevante, dato che la Turchia ha in servizio più di 250-280 aerei da combattimento F-16, che sono circa dieci volte superiore alle forze aerospaziali russe nella Repubblica Araba di Siria (SAR). Per non parlare della superiorità dell’aeronautica militare turca sulla parte pronta al combattimento dell’obsoleta flotta SAR Air Force; i velivoli mantenuti in prontezza di combattimento sono principalmente i Su-22, ancora di fabbricazione sovietica.
Inoltre, nella regione di Idlib nel nord-ovest della SAR detenuta dal gruppo terroristico Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e nelle aree limitrofe di Aleppo Nord, nella cosiddetta “zona cuscinetto” nelle aree delle precedenti operazioni turche “Euphrates Shield” (regione di Azaz-Al-Bab-Jarabulus) e “Olive Branch” (Afrin), che sono sotto il controllo dell’Esercito Nazionale Siriano sostenuto dalla Turchia (SNA), dall’inizio del 2022 i radicali HTS stanno cercando di soggiogare i gruppi SNA che persistono a Idlib, includerli nei loro ranghi per rimanere l’unica forza ostile a Damasco nel nord-ovest siriano. HTS cerca di estendere la sua influenza al nord di Aleppo, una “zona cuscinetto” dove non è mai stata prima.
Al quadro militare si aggiunge quello politico. La tempistica dell’attentato di Istanbul, sette mesi prima delle prossime elezioni turche, ha alimentato alcuni sospetti. Secondo una ricerca pubblicata dal Centro di ricerca sociale Yöneylem Sosyal Araştırmalar Merkezi del settembre 2022, il 55,8% degli elettori ha dichiarato: “Non voterò mai per Erdoğan”. Se da un lato l’attentato dinamitardo avvenuto ad Istanbul ha preparato il terreno all’operazione militare turca in Siria, potrebbe anche contribuire ad aumentare il consenso interno.
Guardando alla storia recente della Turchia, infatti, nel 2015 e nel 2016 diversi attentati hanno ucciso 862 persone in un lasso di tempo caratterizzato da due elezioni parlamentari e un tentativo di colpo di stato militare. Poiché il partito Giustizia e Sviluppo (AKP) del presidente Erdogan ha sfruttato questi eventi per riconquistare la maggioranza che aveva precedentemente perso, questa potrebbe essere di nuovo la strategia in atto. Il crescente malcontento interno con l’aumento dell’inflazione e la pressione sui media (Ankara ha oscurato diverse piattaforme mediatiche durante il recente attacco del 13 novembre) potrebbe essere messo a tacere con i successi turchi in politica estera come interlocutore nella crisi ucraina e paventando il nemico comune del terrorismo curdo. A tal riguardo sono stati sollevati dubbi su chi sia effettivamente l’autore degli attentati, dal momento che nessun gruppo terroristico lo ha rivendicato ed i gruppi curdi negano il proprio coinvolgimento e chiedono indagini approfondite.
In conclusione, gli attacchi turchi che hanno anche colpito siti civili come scuole, ospedali ed anche una moschea hanno messo in allerta la comunità internazionale. In una riunione dei ministri degli esteri della Nato il 29 novembre, il portavoce per la politica estera del governo tedesco, Jürgen Trittin, ha condannato gli “attacchi illegali” della Turchia alla Siria e all’Iraq. Il deputato tedesco dei Verdi ha affermato che la NATO ha bisogno di “decisioni e posizioni chiare” riguardo a Ucraina, Svezia, Finlandia e Turchia. Trittin aveva precedentemente chiesto sanzioni severe sulla Turchia, affermando a settembre che la NATO e l’Unione Europea “dovrebbero chiedersi per quanto tempo permetteranno a Erdoğan di giocare con loro”.
Mentre la Turchia svolge un ruolo significativo nei complessi negoziati sullo sfondo del conflitto ucraino, Ankara ha anche firmato accordi energetici strategici con Mosca che configurano il paese come un hub di transito del gas russo, rafforzando la sua posizione nello scacchiere eurasiatico. Se da un lato questo potrebbe portare la Russia a posizioni più morbide rispetto le incursioni turche in Siria, gli Stati Uniti temono una escalation e una recrudescenza del fenomeno terroristico. Il comandante in capo delle SDF ritiene che gli Stati Uniti debbano sviluppare una politica più chiara sulla Siria, la quale attualmente si riduce alla sola lotta al terrorismo. Questa mancanza di chiarezza rende più difficile per l’Amministrazione Autonoma della Siria Settentrionale e Orientale (AANES) di negoziare un accordo con Mosca, che è ciò che vuole anche la Russia.
* Articolo in mediapartnership con SpecialEurasia.