Siria. Douma: la Russia accusa dell’attacco con i gas l’intelligence britannica

di Enrico Oliari

E’ sempre più guerra di informazione sulla Siria, dopo che la Russia ha accusato la Gran Bretagna di aver orchestrato l’attacco con le armi chimiche a Douma, nella Ghuta Orientale, peraltro non ancora dimostrato.
Già in mattinata la tv libanese filo-Hezbollah (e quindi vicina al governo siriano) al-Mayadeen riportava di “militari britannici” fatti prigionieri a Douma dai regolari, probabilmente agenti dell’intelligence. La cosa è stata confermata dal portavoce del ministero della Difesa russo, generale Igor Konashenkov, il quale ha riferito che “Siamo certi che dal 3 al 6 aprile sui rappresentanti dei cosiddetti Caschi Bianchi sono state fatte fortissime pressioni da Londra perché realizzassero il prima possibile la provocazione (con armi chimiche) che era stata già preparata”, e che “lo scopo era portare gli Stati Uniti a colpire la Siria”.
Alla gravissima accusa l’ambasciatore britannico all’Onu, Karen Pierce, ha risposto parlando di “una sfacciata menzogna”, ma se c’è del vero non dovrebbe passare molto tempo perché i siriani mostrino le loro “prove”.
D’altro canto non sarebbe la prima volta che vi sono sospetti se non su potenze straniere quantomeno su “ribelli” aiutati da intelligence straniere circa alcuni attacchi con i gas in Siria proprio per provocare la reazione internazionale nei confronti del governo di Damasco, ed anche il fatto che i regolari sarebbero ricorsi ai gas su un territorio praticamente riconquistato lascia qualche dubbio.
Forse non esagera l’ambasciatore russo all’Onu, Vassily Nebenzia, nell’affermare che Usa, Francia e Gran Bretagna “sono interessati solo a rovesciare al-Assad in Siria e a contenere Mosca”: dopo aver rovesciato il regime di Saddam Hussein in Iraq e istituito (con scarso risultato) un governo fantoccio a Kabul, dal Marocco al Kirghizistan rimangono fuori dall’ottica di espansione delle influenze Usa solo la Siria e l’Iran. La Siria tuttavia è zona di influenza russa da sempre, la base di Tartus risale all’era sovietica e rappresenta lo sbocco sul Mediterraneo di Mosca.
A fianco dei gruppi ribelli si sono schierate formazioni finanziate dalle monarchie del Golfo che con “l’opposizione moderata” centrano poco nulla; come nel caso di Yaish al-Islam (“Esercito dell’Islam”), il gruppo jihadista che è stato combattuto in queste settimane nella Ghouta Orientale dall’esercito regolare.
Fatto sta che la minaccia del presidente Usa Donald Trump di un intervento immediato oggi si è trasformata in un atteggiamento prudenziale, “non ho mai parlato di un attacco immediato”, ed anche il segretario alla Difesa Jim Mattis, ha spiegato in tv che “gli alleati stanno ancora verificando le informazioni di intelligence” per capire se l’attacco con i gas sia stato operato dagli uomini di al-Assad o meno.
L’unico a dirsi certo delle responsabilità del regime siriano circa l’attacco con il cloro è il presidente francese Emmanuel Macron, che in un’intervista televisiva ha spiegato la necessità di “togliere la possibilità di utilizzare armi chimiche affinché mai più si debbano vedere le immagini atroci viste in questi giorni, di bambini e donne che stanno morendo”.
Contestualmente il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato di “aver ribadito profonda preoccupazione per i rischi dell’attuale impasse in Siria e sottolineto la necessità di evitare che la situazione diventi incontrollabile” ai cinque membri permanenti (Gb, Usa, Francia, Russia e Cina).
Certo è che difficilmente la Russia rinuncerà alla propria zona di influenza, e già ieri sera 14 navi si sono mosse dalla base di Tartus, mentre altre ne stanno arrivando dalla Flotta del Mar Nero.