Siria. Si discute del rientro dei rifugiati. Mentre gli usa fanno fuggire i “Caschi bianchi’

di Enrico Oliari –

Dopo che le autorità siriane hanno preso il controllo della città meridionale di Daraa attraverso il trasferimento dei combattenti “ribelli”e dei loro famigliari a nord, si profila gradualmente il pieno controllo da parte di Bashar al-Assad di buona parte del paese e quindi si prospetta la necessità di stabilizzare i vari territori prima di affrontare i nodi della resistenza nel nord – ovest dei “ribelli” e soprattutto di un nuovo assetto federativo del paese.
L’esercito regolare siriano, sostenuto dai russi e da iraniani, controlla ormai un’area che parte a nord di Aleppo ed arriva a Daraa, nei pressi del confine israeliano, dal confine libanese a quello iracheno; i curdi e le Sdf, sostenuti dagli Usa e primo vero bastione all’espansione dell’Isis (si pensi alla storica battaglia di Kobane), hanno come linea di demarcazione l’Eurate, salvo nella parte settentrionale dove arrivano fino a Manbij (Bambice): in un quadro di riassetto amministrativo del paese faranno giustamente pesare il loro impegno; gli oppositori siriani controllano, grazie al sostegno e all’intervento turco, territori nel nord-ovest del paese ed in particolare Idlib, vera roccaforte sia per loro che per le varie milizie salafite come Tahrir al-Sham, quando non la diramazione siriana di al-Qaeda, Jabath Fatah al-Sham. Sacche di “ribelli” sono presenti nei pressi delle Alture del Golan, a ridosso del confine siriano, e in un’area desertica presso l’intersezione dei confini siriano, giordano e iracheno (al-Ttanf); l’Isis, ormai praticamente sconfitto, è presente in due aree desertiche nella parte orientale del paese.
La graduale fine della guerra comporta il rientro dei rifugiati siriani, necessario per la ricostruzione del paese, ed a Mosca si è tenuta nei giorni scorsi una conferenza presso la sala K. K. Rokossovskovo del ministero della Difesa per discutere della questione che potrebbe interessare in un prossimo futuro 1,8 milioni di rifugiati. In Turchia, dove l’Unione Europea sta spendendo 6 miliardi di euro per la loro gestione (ma l’accordo prevedeva anche il riavvio delle trattative di adesione e la fine dei visto per i cittadini turchi diretti in Ue), sono presenti 3,5 milioni di rifugiati siriani, mentre in Libano sono 980mila, in Germania 700mila, poi ve ne sono in Giordania, Iraq, Svezia, Egitto ed in numero minore in altre nazioni, tra cui quasi 10mila in Italia per un totale, come ha piegato durante l’incontro il generale Mikhail Misinzev, di 6,9 milioni di rifugiati distribuiti in 45 paesi, “la maggior parte nei paesi confinanti con la Siria”. Per Misinzev “76 centri abitati meno colpiti dalle ostilità potrebbero ospitare 336.500 persone, in primo luogo quelle che tornano dal Libano e dalla Giordania”.
La cosa è stata affrontata una settimana fa ad Helsinki, nell’incontro tra le delegazioni russa e statunitense seguito al faccia a faccia tra il presidente russo Vladimir Putin e il collega americano Donald Trump: la proposta presentata da Mosca è quella di “creare un gruppo congiunto per il finanziamento della ricostruzione delle infrastrutture in Siria”, per cui iniziare con la realizzazione di unità abitative, ovvero, ha spiegato Misinzev, “lo sviluppo di un piano congiunto per il ritorno dei rifugiati ai luoghi di residenza preconflitto, con priorità ai cittadini siriani in Libano e Giordania, l’istituzione del centro di monitoraggio ad Amman russo-americano-giordano congiunto, così come la formazione di un gruppo simile in Libano. Inoltre, abbiamo proposto di creare un gruppo congiunto per finanziare il ripristino delle infrastrutture della Siria. Le proposte presentate dalla Russia sono attualmente in fase di elaborazione da parte americana”.
Misinzev ha spiegato che fino ad oggi più di 232mila rifugiati sono tornati in Siria dall’estero.
Intanto si sta concretizzando il piano Usa da 6,6 milioni di dollari, presentato da Trump al vertice nato di Bruxelles, per l’evacuazione dei “Caschi bianchi” dalla Siria. Questi sono volontari che, come aveva spiegato Trump, hanno “salvato 100mila persone dalle macerie”, ma gli stessi sono additati da più parti, non solo da Damasco, dalla Russia e dai loro alleati, di aver creato artificiosamente scene di presunti eccidi con i gas per suscitare lo sdegno internazionale e provocare la reazione internazionale, come pure di essere legati ai “ribelli” al punto che ne sono stati fermati alcuni con le armi in mano.
Già Israele ne avrebbe aiutati 800 a fuggire con le loro famiglie dal territorio siriano, per cui viene lecito chiedersi da dove nasca la necessità di “fuggire” o di “essere evacuati” nel momento in cui durante il conflitto ci si limitava a soccorrere i feriti sotto le macerie, per quanto solo nei territori occupati dai “ribelli”.
Tant’è che vi è stato un vero e proprio coordinamento di Israele con Usa, Canada ed Unione Europea per far uscire dalla Siria attraverso il Golan i Caschi bianchi, ma secondo il leader dell’organizzazione, Raed Saleh, in Siria ve ne sarebbero stati di operativi almeno 3.700, “tutti a rischio di morte”, specialmente coloro che prestavano la loro opera nella Ghouta orientale dove appunto sono stati denunciati i (presunti) attacchi con i gas ad opera del regime di Bashar al-Assad.
Candidati per il Premio Nobel per la Pace 2016, l’anno dopo il presidente siriano Bashar al-Assad ha detto in un’intervista all’Afp che sono salafiti e qaedisti, e che “Si sono rasati la barba, hanno indossato elmetti bianchi e sono apparsi come eroi umanitari, il che non è vero”.

(Foto WikiCommons).