Sorpresa: ecco il gas che arriva in Italia. E non è tutto russo

di Mario Sommossa * –

Uno dei mantra dell’Unione Europea riguarda la necessità di garantirsi la sicurezza dei rifornimenti energetici senza il rischio di essere sottoposti a ricatti da parte di qualche fornitore. Il concetto di per sé è scontato, per qualunque acquirente di non importa quale prodotto.
E’ infatti sempre indispensabile avere la possibilità di variare le fonti d’acquisto, in modo da poter scegliere tra prezzi diversi con i fornitori in potenziale concorrenza tra loro.
Appellandosi a questo indiscutibile principio, l’Unione Europea ha individuato nella Russia il fornitore di gas “troppo” importante, quello da cui ci si dovrebbe emancipare per essere compratori e consumatori più “liberi”. 
A dire la verità, sono stati i nostri alleati americani a farci capire il rischio che stavamo correndo e subito ci siamo adeguati.  Qualcuno ha pensato lo abbiano fatto per potersi sostituire ai russi come principali fornitori viste le enormi quantità di gas che da qualche anno ricavano dagli scisti. Tuttavia, di là dalle promesse (o speranze, secondo i punti di vista), comprare transatlantico non sarebbe economicamente conveniente né per noi né per i venditori.
A tutt’oggi i prezzi sul mercato europeo sono molto più bassi di quelli ottenibili sul mercato asiatico e il gas che ci arriva via nave è comunque più costoso di quello che otteniamo attraverso le condutture collegate direttamente con i pozzi. E’ noto, infatti, che il gas trasportato attraverso tubazioni (per di più già ammortizzate da tempo) costi molto meno di quello che per viaggiare via mare oltre al trasporto deve sopportare i costi di liquefazione dapprima e rigassificazione poi.
Certo se si trattasse di sottrarsi ai possibili ricatti di qualche fornitore è un sacrificio che si potrebbe (e si dovrebbe) affrontare e in questa direzione sembrano essersi indirizzati baltici e polacchi che hanno recentemente firmato un contratto di fornitura con gli Usa. Ma davvero siamo esposti a possibili ricatti di Mosca sulle nostre fonti energetiche?
Se andiamo a leggere i numeri sembrerebbe di no, ma per esserne sicuri è bene leggere quanto scrive su Limes (dicembre 2017) il prof. Massimo Nicolazzi, docente a Torino di Economia delle fonti energetiche. I dati che il professore cita non sono ipotesi ma, al contrario, sono ricavati da statistiche ufficiali, nazionali e internazionali.
Scopriamo allora che l’Italia nel 2016 ha consumato 64.5 miliardi di metri cubi di gas di cui ben 59,4 importati via tubo. Di questi ultimi, circa 22,7 sono arrivati dalla Russia, 17.2 dall’Algeria, 15.1 dal nord Europa e 4.4 dalla Libia.
La capacità potenziale delle condotte che ci collegano a questi Paesi è però molto maggiore e raggiunge i 127,166 miliardi. La suddivisione potrebbe essere la seguente: da Russia 39, da Algeria 35, da Libia 10, dal nord 21,5. Abbiamo cioè ampi margini di scelta per decidere, all’occorrenza, da quale fornitore acquistare di più e da quale di meno.
Senza contare che (pugliesi permettendo) un nuovo gasdotto TAP collegherà presto il sud del nostro Paese con i giacimenti dell’Azerbaigian e magari (in futuro) anche con altri del Mediterraneo orientale.
Non bisogna però dimenticare che, nonostante il prezzo più elevato, in Italia e in Europa arriva già anche una certa quantità di gas liquefatto. In Italia esistono ben tre rigassificatori con una capacità di circa 15 miliardi di metri cubi.  Altri sono stati progettati e, qualora veramente realizzati (le obiezioni degli ambientalisti e gli alti costi di costruzione hanno portato alla rinuncia di alcuni investitori che avevano già ottenuto i relativi permessi — la Croazia, invece, ne sta costruendo uno enorme a sud di Trieste), aumenterebbero significativamente la nostra possibilità di importare gas anche in questo modo. Va però precisato che i rigassificatori in funzione lavorano per molto meno della metà delle loro potenzialità. La stessa Europa ha impianti di rigassificazione per una capacità di circa 230 MD di MC ma li utilizza per soli 50 miliardi. La Spagna in particolare ha una potenzialità rigassificatoria superiore del 300 per cento ai propri bisogni e la utilizza solo al 25 per cento, cioè per appena 60 miliardi di metri cubi.
Ci si stupisce che i rigassificatori siano così sottoutilizzati? E’ il mercato, bellezza!  Anche se i produttori (e liquefattori) tendono a far di tutto per cercare di abbassare i loro prezzi di vendita, i costi connessi alla duplice operazione necessaria per rendere il gas dapprima trasportabile e poi utilizzabile e gli stessi costi di trasporto lo rendono molto più costoso di quello in arrivo via tubo. E’ tuttavia vero che, qualora i fornitori che lo vendono nei gasdotti decidessero di aumentare unilateralmente i prezzi, il gas liquefatto diventerebbe più competitivo e se ne importerebbe maggiormente.
Se questo è il quadro globale, è evidente che l’Italia possa già scegliere da chi comprare maggiori o minori quantità tra gli attuali fornitori via gasdotto o addirittura sostituirle tutte con gas in arrivo via mare. Dove sta allora il rischio di dipendenza da un singolo fornitore?  Vista anche la grande (e inutilizzata) capacità europea di rigassificazione e la rete di tubazioni, tutte in territorio europeo, che coprono il nostro continente che cosa abbiamo da temere in termini di mercato da parte di Paesi terzi?
Senza contare che se c’e’ chi compra, c’e’ anche chi vende.  Il caso dell’Arabia Saudita e i disastri sul bilancio nazionale causati del calo del prezzo del petrolio dimostra quanto i venditori possano soffrire se gli introiti delle loro vendite diminuissero. La Russia non è diversa dai sauditi. Anch’essa sta soffrendo per il calo dei prezzi di gas e petrolio e, se mai il Cremlino impazzisse e volesse ridurre le forniture di gas verso l’Europa per motivi politici, si troverebbe di fronte alla concorrenza di altri fornitori e andrebbe incontro a gravi problemi economici interni (il 75 percento delle sue esportazioni di idrocarburi ha come mercato l’Europa).
Conclusione: l’Europa, e soprattutto l’Italia, non corre nessun rischio commerciale (e politico) di dipendenza esclusiva da alcun fornitore e tantomeno dalla Russia. Se qualche nostalgico della Guerra Fredda ha altri motivi per cercare di seminare zizzania tra noi e Mosca continui, se vuole, a farlo, ma non ci venga più a raccontare frottole ampiamente smentite dai numeri.

* Articolo originariamente pubblicato su Sputnik.