Sud Sudan. Continua il dialogo tra le parti, ma senza un accordo definitivo

di Alberto Galvi

Il Sud Sudan è il più giovane paese del mondo. Questa nuova nazione è composta dagli ex 10 stati regione più meridionali del Sudan, ed è diventato indipendente il 9 luglio del 2011, ma ciò non ha posto fine al conflitto nel paese. In quella data Salva Kiir Mayardit è diventato presidente del nuovo stato africano.
Il paese è molto variegato etnicamente e questo, come è già successo in molte realtà africane, ha generato dei conflitti decennali. I principali gruppi etnici del paese sono i Dinka e i Nuer. A livello religioso, il Sud Sudan ha una minoranza cristiana circondata da una popolazione credente in religioni tradizionali, mentre il Sudan è a maggioranza musulmana.
Le principali tensioni che hanno portato alla guerra civile un paio di anni dopo l’indipendenza, sono scoppiate proprio per le differenze etniche dei loro leader. Il principale partito del Sud del Sudan è l’SPLM (Sudan People’s Liberation Movement).
All’interno di questo partito, le differenze etniche hanno generato uno scontro di potere tra i 2 principali leader: Il presidente Salva Kiir, di etnia Dinka, e il suo vice Riek Machar, di etnia Nuer. La guerra civile è scoppiata nel 2013, quando il presidente del Sud Sudan ha accusato il suo vice presidente Machar di un tentativo di colpo di stato.
A livello internazionale, hanno cercato di mediare tra le due fazioni in lotta i paesi vicini del Corno d’Africa, attraverso l’intervento diplomatico della loro organizzazione politica commerciale regionale, l’IGAD (Intergovernamental Authority on Development).
Nel dicembre 2013 sono iniziati i combattimenti tra truppe governative e le fazioni ribelli. Questi primi combattimenti sono poi sfociati in un vero e proprio conflitto armato, che ha provocato l’uccisione di migliaia di persone, spingendo milioni di persone a fuggire dalle loro case.
Nell’agosto 2015 i capi di stato dell’IGAD hanno concluso un accordo nel quale Kiir manteneva la presidenza, e Machar diventava nuovamente il primo vice presidente. I 2 leader hanno firmato la Dichiarazione di accordo a Khartum. A far arrabbiare i ribelli ci ha pensato Kiir, aumentando da 10 a 28 il numero di stati regione del Sud del Sudan.
L’accordo è crollato a luglio del 2016, quando le forze armate dell’SPLM che sostengono Kiir, si sono scontrate con le unità di combattenti dell’SPLM / A-IO (Sudan People’s Liberation Movement-in-Opposition), fedeli a Machar. Le principali zone di conflitto nella seconda parte della guerra civile, sono state combattute nei 3 stati regione dell’Equatoria (centrale, orientale e occidentale), in particolare a Juba, la capitale e il centro economico del paese.
Inoltre bisogna ricordare che sono stati firmati diversi accordi di pace durante questi 5 anni di conflitto, ma il più recente è stato concluso il 12 settembre 2018. Le due fazioni in guerra lo avevano firmato con la supervisione delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e di alcuni governi regionali.
Tra le controversie dell’accordo, il numero di stati regionali che il paese dovrebbe avere e i loro confini. Ricordiamo che nel 2017 ne sono stati aggiunti altri 4 a quelli precedentemente richiesti nell’accordo, per un totale di 32 stati regionali, che però sono rimasti solo sulla carta.
Le parti che stavano in conflitto hanno convenuto di istituire un meccanismo per garantire e controllare l’attuazione del patto. L’accordo prevedeva il cessate al fuoco, e la creazione di un esercito nazionale unificato, nonché un governo di unità nazionale di transizione.
La scadenza dell’accordo del 2018 ad Addis Abeba, firmato da Kiir e Machar, scadeva originariamente nel maggio 2019, ma è stato posticipato il 12 novembre 2019, in quanto i partiti non sono riusciti neppure a formare un governo di transizione di unità nazionale, presupposto inderogabile per le prossime elezioni del 2022.
Durante i colloqui svoltisi un anno dopo il settembre 2018, le 2 parti in causa hanno firmato un accordo rivitalizzato sulla risoluzione del conflitto, mentre i 2 leader avevano programmato di formare un governo di transizione entro il 12 novembre.
A controllare lo scorso agosto la situazione degli accordi di pace e il rispetto dei diritti umani nel Sud del Sudan ci ha pensato una Commissione apposita delle Nazioni Unite, composta da Yasmin Sooka, Andrew Clapham e Barney Afako.
I 3 commissari hanno ascoltato donne, uomini e bambini del Sud Sudan, e hanno espresso tutti numerose preoccupazioni per le inefficienze espresse nell’attuazione dell’Accordo di pace, firmato nel settembre 2018 dalle 2 parti in lotta. I 3 inviati dell’ONU sono anche preoccupati del deterioramento delle condizioni di vita degli sfollati interni.
Le 2 fazioni non hanno fatto praticamente nulla per risolvere le varie controversie. I piani per creare un esercito nazionale unificato si sono bloccati, e gli oppositori di Kiir si sono rifiutati di accettare il decreto del 2015, che prevedeva che Kiir rimanesse presidente e Machar primo vice presidente.
Nei giorni scorsi, i capi delle 2 fazioni si sono incontrati in Uganda insieme ai rappresentanti dell’IGAD, dove hanno concordato una proroga di 100 giorni dalla data di scadenza precedentemente concordata del 12 novembre scorso per la formazione di un governo di transizione.
Questo è il terzo ritardo che subisce il processo di pace, perchè i vari interlocutori non sono ancora riusciti a raggiungere gli accordi sulla sicurezza e sulla governance. Il più giovane paese del mondo, sta cercando di emergere da una guerra civile durata quasi 5 anni, dove hanno ucciso decine di migliaia di persone e sfollato più di 4 milioni di persone.
L’IGAD ha intanto convocato una riunione ad Addis Abeba per discutere dell’attuazione dell’accordo di pace. Questo incontro arriva il giorno dopo che le 2 parti in causa hanno concordato di slittare la formazione del governo.
L’accordo prevede di confrontare i progressi fatti dopo i primi 50 giorni dalla data precedentemente concordata, per poi arrivarne alla conclusione nei successivi 50 giorni. La nuova scadenza è il 20 febbraio del prossimo anno.

Salva Kiir.