Sud Sudan. MSF, ‘Il conflitto prolungato alla base della crisi nutrizionale’

di Francesca Mapelli e Clara Maresca (Msf)

Juba – Il conflitto prolungato in Sud Sudan sta avendo un grave impatto sulla popolazione locale ed è alla base della crisi nutrizionale nel paese. Lo dichiara l’organizzazione medico-umanitaria internazionale Medici Senza Frontiere (MSF), che nelle ultime settimane ha riscontrato livelli di malnutrizione estremamente elevati e ha lanciato una risposta di emergenza per trattare i bambini malnutriti. Nelle contee di Mayendit e Leer, uomini, donne e bambini sono continuamente costretti a scappare dalle loro case per sfuggire ai combattimenti, e faticano ad avere accesso a beni essenziali come cibo, acqua e assistenza sanitaria.
“L’estremo livello di violenza in Sud Sudan ha avuto un impatto gravissimo sulla capacità delle persone di soddisfare i propri bisogni più basilari, dall’acqua potabile al reperimento di cibo, ripari e cure mediche”, dichiara Nicolas Peissel, capo progetto di MSF in Sud Sudan. “Le persone hanno perso tutto e combattono ogni giorno per sopravvivere.”
A gennaio le équipe di operatori comunitari di MSF a Dablual e Mirniyal, nella contea settentrionale di Mayendit, hanno rilevato che il 25% dei bambini sotto i cinque anni era affetto da malnutrizione acuta generale e fino all’8,1% da malnutrizione severa acuta.
“Significa che un quarto dei bambini che abbiamo visto nelle nostre cliniche sono malnutriti e quasi un decimo è in condizioni molto gravi” continua Peissel. “Sono numeri estremamente preoccupanti”.
Per affrontare questa crisi, MSF ha rafforzato le proprie cliniche mobili includendo trattamenti per la malnutrizione e formando il personale all’interno delle comunità, per garantire assistenza medica anche in caso di fuga. A causa delle difficili condizioni di sicurezza, al momento è impossibile per MSF aprire un ospedale o trasferire i pazienti ad altre strutture sanitarie, perché metterebbe in pericolo sia i pazienti che le équipe mediche. In queste condizioni, fornire assistenza medica è una sfida enorme, perché le persone si spostano continuamente da un luogo all’altro in cerca di sicurezza (per approfondire, l’intervista alla dottoressa Philippa Pett di MSF sulle cliniche mobili, in coda).
Nyayolah è arrivata in una clinica di MSF con i suoi gemelli di un anno, entrambi malnutriti. “A ottobre e novembre siamo stati costretti a scappare dal nostro villaggio tre volte per nasconderci nella foresta” racconta. “Abbiamo imparato a riconoscere il rumore delle auto dei soldati e dei carri armati in arrivo. Prima di scappare abbiamo preso tutto ciò che potevamo. Gli uomini armati ci hanno sparato e hanno saccheggiato le nostre case. Ho corso con i gemelli in braccio e mia figlia di quattro anni correva dietro a noi. Abbiamo visto persone cadere a terra colpite dagli spari o gettare via le loro cose perché non riuscivano a correre abbastanza in fretta. Ci siamo nascosti nella foresta fino a notte e siamo rientrati quando i soldati erano andati via. Ogni volta, ci siamo trovati con sempre meno cose: prima il bestiame, le capre e i polli, poi i raccolti, infine le nostre case sono state saccheggiate e bruciate.”
Poche settimane dopo, la famiglia di Nyayolah ha deciso di lasciare la propria casa e cercare riparo su un’isola nella palude. Durante il viaggio, durato 17 ore, sono sopravvissuti bevendo acqua stagnante e mangiando il poco cibo che hanno potuto portare con sé.
“Le persone si spostano perché devono fuggire costantemente dalla violenza, per cercare un rifugio sicuro per le loro famiglie o semplicemente per trovare da bere o da mangiare” dice Peissel. “Se sentono parlare di una distribuzione di cibo, per esempio, si muoveranno in quella direzione. Per questo dobbiamo continuamente adattare le nostre attività mediche agli spostamenti della popolazione.”
Le prospettive per i prossimi mesi sono cupe, secondo Peissel, perché con la stagione secca attualmente in corso sarà verosimilmente ancora più difficile trovare cibo. “Se le persone non possono trovare un posto sicuro dove vivere, con un accesso decente a cibo, acqua potabile, ripari e cure mediche, è molto difficile che la situazione possa migliorare per questa popolazione.”

Approfondimento.
Sud Sudan. Assistenza in movimento per persone in movimento
Nelle contee di Leer e Mayendit, nella parte centrale del Sud Sudan, le persone sono costantemente costrette a fuggire dai combattimenti. Dopo i ripetuti attacchi al proprio ospedale a Leer, MSF ha capito di dover trovare nuovi metodi per fornire loro assistenza medica. L’équipe della dott.ssa Philippa Pett, fornisce assistenza sanitaria alle persone in movimento attraverso una rete flessibile di cliniche mobili, composta da personale locale formato all’interno delle comunità stesse.
“La principale sfida della popolazione in questo momento è trovare cibo. Tutti i raccolti sono stati saccheggiati nel mese di luglio e a causa del conflitto in corso si è persa la stagione della semina. I mercati sono quasi vuoti e si trovano soltanto sale e tè. Dove c’è del cibo in vendita, i prezzi sono troppo alti. Chi vive dalle parti delle isole almeno può pescare, ma in alcune zone, le persone sopravvivono mangiando i semi delle ninfee.
La situazione in questa zona è molto volatile. Non c’è un luogo adatto a gestire un ospedale dove i pazienti posano recarsi in sicurezza e per un periodo di tempo indefinito. Era necessario fare in modo che sia i pazienti sia il nostro personale non dovessero attraversare le linee del fronte per essere assistiti o portare aiuto.
Così abbiamo deciso di adottare un approccio diverso. Al posto di un ospedale, i nostri operatori sanitari effettuano cliniche mobili sei giorni alla settimana nelle zone in cui risiedono. Sono tutte persone della comunità locale, formate da MSF e preparate a fornire assistenza sanitaria per disturbi comuni come la malaria, le malattie della pelle e quelle diarroiche. In questo modo, diventano loro stessi il punto di riferimento sanitario per la comunità.
Quando le persone sono costrette a lasciare le loro case a causa dei combattimenti nelle vicinanze, anche gli operatori sanitari si muovono con loro, come farebbero in ogni caso, e continuano a fornire assistenza sanitaria. Alcuni sono stati costretti a fuggire diverse volte nei soli mesi di novembre e dicembre, è la loro quotidianità. Per questo il nuovo approccio funziona.
Vi sono ovviamente dei limiti a ciò che possiamo fare in queste condizioni. Alcune persone versano in condizioni molto complesse ed è frustrante non essere in grado di assisterli adeguatamente, ma è necessario concentrarsi su ciò che si può fare: l’assistenza sanitaria di base riveste un’importanza da non sottovalutare.
Qui la popolazione sta accettando cose che non sarebbero accettabili in altre situazioni – hanno una resistenza incredibile. Ma il conflitto continua ad avere un impatto notevole sulle loro vite. Lo vediamo tra i nostri pazienti e tra i nostri collaboratori, che nonostante le enormi difficoltà vogliono il meglio per le loro comunità. Sono orgogliosi del lavoro che fanno, e noi siamo orgogliosi di loro”.