Sud Sudan. Passato, presente e futuro delle 180mila persone nei campi per sfollati

Msf lancia l'allarme sulle drammatiche condizioni.

di Sara Maresca *

A 9 mesi dalla firma di un accordo tra le parti in conflitto in Sud Sudan, resta ancora incerto il futuro di circa 180.000 sfollati che vivono all’interno dei sei Campi di Protezione dei Civili (PoC) gestiti dalla Missione delle Nazioni Unite nel paese (UNMISS) e costruiti per accogliere migliaia di persone in fuga in cerca di sicurezza. A Bentiu e Malakal, dove si trovano i due siti più grandi per numero di persone ospitate, le équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) curano gli effetti delle difficili condizioni di vita: insicurezza, scarso accesso all’acqua e cibo e mancanza di rifugi adeguati.
“Gli sfollati vivono in tende sovraffollate e non hanno accesso ad una quantità sufficiente di cibo, acqua pulita e servizi igienici adeguati. MSF fornisce cure mediche e gestisce alcuni programmi volti a evitare la diffusione di epidemie”, dichiara Luisa Roade, responsabile medico di MSF.
Da tempo MSF chiede che vengano migliorati i servizi all’interno dei campi, soprattutto per quel che riguarda l’accesso all’acqua e le latrine. Da alcune latrine del centro di Bentiu, dove vivono 100.000 persone, fuoriescono liquidi in eccesso che scorrono lì dove di solito giocano i bambini. Anche per questo, nell’ospedale da 160 posti letto di MSF a Bentiu, quasi la metà dei pazienti sono bambini al di sotto dei 5 anni che arrivano per diarrea acuta, malattie della pelle, infezioni agli occhi o vermi intestinali, tutte malattie evitabili migliorando il livello dei servizi igienici e della qualità dell’acqua.
“Gli alloggi sono ricavati unendo più tende tra loro. Se una persona nella prima tenda soffre di tubercolosi, è molto probabile che contagi le altre persone all’interno. Senza alcuna separazione, è alto il rischio di contagio” racconta Peter che vive da 5 anni con i suoi 5 figli nel Centro di Bentiu, nonostante venga dal vicino villaggio di Rubkona.
Anche a Malakal, la seconda città più popolata prima del conflitto e una delle più colpite dai combattimenti, MSF gestisce un ospedale all’interno del Centro dove vivono circa 30.000 persone. Nel 2018, 51 persone (1 persona a settimana) sono state assistite dopo aver tentato il suicidio e sono state più di 2.400 le sessioni di salute mentale, sia individuali che di gruppo, svolte dalle équipe di MSF.
“Molte di queste persone hanno vissuto esperienze traumatiche durante la guerra, come la perdita di un familiare o della propria casa. Molti hanno assistito a violenze e sono stati costretti a fuggire. Questo trascorso, insieme alle condizioni di vita precarie, innesca sintomi di psicosi. Alcuni nostri pazienti hanno tentato il suicidio o soffrono di depressione profonda. La rassegnazione è un sintomo molto diffuso tra l’intera popolazione del centro di Malakal”, dichiara Carlos Alberto Meza, responsabile delle attività di salute mentale per MSF.
Questi Campi di Protezione dei Civili sono stati realizzati per proteggere le persone dalle violenze che hanno colpito il Sud Sudan, ma la sicurezza al loro interno non è assoluta: rapine, saccheggi e violenze sessuali sono frequenti.
“La vita è davvero difficile qui, soprattutto per le donne. Questi ultimi 5 anni hanno cambiato le persone. Sono depresse, hanno perso molte cose quando sono fuggite e hanno affrontato tantissime morti all’interno della comunità. Alcune persone pensano che sarebbe meglio togliersi la vita” racconta Achol (foto in allegato), una donna di 32 anni arrivata dal villaggio di Obai, nel sud di Malakal.
Per quelli che hanno una forma di reddito, il rischio di essere attaccati è ancora più alto. “Avendo un lavoro, sono un bersaglio. Ma cosa posso fare? Non ho alternative, la situazione qui è comunque migliore di quella all’esterno”, racconta David, uno dei componenti del team di promozione della salute di MSF, che vive all’interno di uno dei sei campi.
Nonostante le innumerevoli difficoltà, molte persone conservano ancora una speranza per il futuro. “Lasceremo il centro quando vedremo che la guerra sarà davvero finita. Fino ad allora, per noi è più sicuro restare qui. Tutte le donne del Sud Sudan, tutte le persone del Sud Sudan, si augurano che arrivi finalmente un periodo di pace. Sarebbe bello se la guerra finisse” afferma Teresa.
Decine di migliaia di persone in Sud Sudan sono morte e circa una persona su tre è stata costretta a lasciare la propria casa da quando il nuovo conflitto è scoppiato nel dicembre 2013. Due milioni di persone sono fuggite nei paesi vicini, mentre altri due milioni sono sfollati all’interno del paese. In questo paese si svolge uno dei più importanti interventi di MSF al mondo.
MSF gestisce programmi di assistenza sanitaria di base e di secondo livello in ospedali e cliniche, svolge attività di sensibilizzazione per gli sfollati e le comunità più remote, risponde alle emergenze e alle epidemie quando si verificano e porta avanti attività preventive, come campagne di vaccinazione.

* Ufficio stampa medici Senza Frontiere.