Sud Sudan. Trattative a Roma per il dialogo

L’ambasciatore Ajing Adiang Marik denuncia la ‘guerra fredda’ che si gioca sulle spalle del paese.

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La Comunità di S. Egidio sta mediando in questi giorni a Roma un tavolo negoziale per arrivare ad un accordo di pace in Sud Sudan, nazione giovanissima (indipendente dal Sudan dal 2011) ma sconvolta fin dal 2013 da una sanguinosa guerra civile. Per quanto gli scontri armati si siano ridimensionati, nel paese africano stenta a decollare l’accordo di pace di Addis Abeba del 2018, ma a Roma il Ssoma, alleanza che raccoglie otto partiti di opposizione, si è resa disponibile al dialogo “con tutte le parti” e al rilancio dell’accordo di pace. Al processo di mediazione partecipano Norvegia, Gb, Usa, Ue, Unione Africana, Onu e Igad, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo della regione.
Il presidente Salva Kiir e lo storico nemico Riek Machar avevano convenuto di rinviare di 100 giorni la tregua che sarebbe dovuta iniziare il 12 novembre, ed il primo impegno del tavolo di Roma è proprio quello di convincere governo, opposizioni e ribelli a far partire da subito l’accordo di Addis Abeba. Il rinvio era stato motivato con la mancata intesa sull’unificazione dei comandi militari.
Alcuni partiti di opposizione non hanno comunque voluto prendere parte al tentativo di conciliazione, ma pesano sulle responsabilità di tutti i 400mila morti e i milioni di profughi del conflitto.
Sul tema Sud Sudan è intervenuto l’ambasciatore a Roma Ajing Adiang Marik, che in un’intervista rilasciata all’agenzia Dire ha denunciato la “guerra fredda” in corso con alcuni paesi europei e gli Usa. Questi ostacolerebbero a suo dire la cooperazione con i paesi orientali, in particolare la Cina, ed ha affermato che “Il petrolio” di cui il paese è ricco “si è trasformato in una maledizione per la nostra gente; le ingerenze internazionali continuano a ostacolare la ripresa dell’economia, devastata dalla guerra”.
Per fare un esempio Marik ha riferito alla Dire che “Total è rimasta da noi dieci anni e alla fine se n’è andata senza aver scavato nemmeno un pozzo, contestandoci concessioni accordate alle società cinesi”, per cui ha auspicato che nel paese intervengano altri attori europei come Repsol ed Eni.