Sudan. Decine di morti per la repressione delle proteste. La Cina fa saltare la risoluzione Onu

di Enrico Oliari –

E’ di oltre 60 morti e numerosi feriti il bilancio degli ultimi tre giorni delle violenze in Sudan, dove alla fine della trentennale dittatura di Omar al-Bashir è seguito un governo militare di transizione guidato un primo momento dal ministro della Difesa Awad Mohamed Ahmed Ibn Auf, ed oggi dal generale Abdel Fattah el-Borhan, il cui curriculum sembra essere più “pulito” non essendo coinvolto in crimini di guerra o soggetto mandati di cattura internazionali.
A perpetrare la dura repressione nei confronti dei manifestanti guidati dall’associazione dei professionisti, che chiede il passaggio dei poteri dai militari ai civili, sono state le unità paramilitari del generale Mohamed Hamdan Dagalo, che sono ricorse a bastoni, gas lacrimogeni e armi da fuoco per disperdere il sit-in allestito nei pressi del quartier generale dei militari a Khartoum, la capitale, mentre nella vicina Omdurman sono state costruite barricate ed incendiati copertoni per coprire la mira di coloro che sparavano.
Il governo militare ieri ha cancellato tutti gli accordi raggiunti con le organizzazioni della protesta civile ed ha sospeso i negoziati, cosa che ha fatto sparire i propositi di un accordo volto a soddisfare le richieste dei milioni di manifestanti in tutto il paese.
I responsabili della protesta accusano tuttavia anche Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita, paesi finanziatori del governo in carica ed attivi ovunque vi siano crisi e guerre, dalla Libia con il sostegno a Khalifa Haftar, alla Siria con i “ribelli” jihadisti, allo Yemen.
Ai giornalisti stranieri è stato ordinato già da due giorni di non lasciare gli alberghi, la sede locale della tv qatarina al-Jazeera è stata chiusa, bloccato anche l’accesso a internet.
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, riunitosi ieri su richiesta di Gb e Germania, si è concluso con l’ennesimo fallimento, dal momento che due paesi con il diritto di veto, la Russia e la Cina, si sono messi di traverso alla proposta di risoluzione volta a fare pressioni sui militari sudanesi per fermare le violenze.
Per la Cina si tratterebbe di “una questione interna sudanese”, posizione condivisa da Russia e Kuwait, per cui a Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito e Svezia non è restato altro da fare che emettere una poco incisiva nota congiunta per “condannare i violenti attacchi in Sudan compiuti dalle forze di sicurezza sudanesi contro i civili” e per chiedere “un trasferimento di poteri concordato a favore di un governo guidato da civili, come richiesto dalla popolazione del Sudan”.
Oggi è arrivata una dichiarazione dei leader della protesta, i quali annunciano per settimana prossima la disobbedienza civile, per cui si teme un’ulteriore aggravarsi delle tensioni.