
di Giuseppe Gagliano –
La città di el-Fasher, capitale del Darfur Settentrionale, è oggi il simbolo del collasso sudanese. Secondo l’ONU almeno 91 persone sono state uccise tra il 19 e il 29 settembre in una serie di attacchi delle Forze di Supporto Rapido (RSF), che hanno usato artiglieria, droni e incursioni di terra. Volker Türk, Alto commissario per i diritti umani, ha lanciato un appello urgente per scongiurare “atrocità su base etnica”, ricordando che il massacro non è inevitabile ma richiede azione immediata per tutelare i civili e il diritto internazionale.
Dopo la riconquista di Khartoum da parte dell’esercito regolare a marzo, la battaglia si è spostata su el-Fasher, ultimo grande centro urbano rimasto sotto il controllo governativo. Oltre 260.000 civili sono intrappolati senza cibo, acqua o medicinali, mentre le RSF hanno circondato la città con un terrapieno di 68 km e limitano l’ingresso di aiuti. I prezzi dei generi di prima necessità sono schizzati a livelli insostenibili: due chili di miglio a 100 dollari, un chilo di farina o zucchero a 80, a fronte di stipendi che raramente superavano i 70 dollari mensili.
Gli attacchi alle moschee e alle aree civili, come il bombardamento con droni del 19 settembre che ha ucciso 78 fedeli in preghiera, mostrano il passaggio a tattiche di terrore volte a piegare la resistenza locale. Le restrizioni agli aiuti e le esecuzioni di civili sorpresi a contrabbandare viveri aggravano una crisi che costringe molti a fuggire verso campi profughi già segnati da carestia e insicurezza.
La tragedia di el-Fasher non è solo il risultato di rivalità interne: riflette l’erosione dell’assetto statale sudanese dopo anni di conflitti e colpi di Stato, ma anche l’indifferenza della comunità internazionale, distratta da altre crisi globali. Il Darfur, già teatro di pulizie etniche nei primi anni 2000, rischia un nuovo ciclo di violenze che potrebbe destabilizzare l’intero Sahel, riaprendo flussi di rifugiati verso Ciad, Libia ed Egitto.
Le RSF, evoluzione delle milizie Janjaweed, godono di reti di finanziamento legate all’oro sudanese e di un sostegno esterno informale che alimenta la guerra d’assedio. L’esercito regolare, pur avendo recuperato Khartoum, appare logorato e incapace di garantire vie di fuga sicure o corridoi umanitari stabili.
L’interruzione dei commerci attraverso il Darfur e il collasso delle infrastrutture agricole aggravano l’insicurezza alimentare in un Paese già in bancarotta, con conseguenze sul mercato regionale dei cereali e sul fragile equilibrio economico dei Paesi confinanti. Se el-Fasher dovesse cadere, le RSF consoliderebbero un corridoio strategico verso il Ciad e il confine libico, aprendo nuove rotte per contrabbando d’armi, oro e migranti.
La denuncia dell’ONU indica che una risposta politica è ancora possibile: un cessate il fuoco monitorato a livello internazionale, sanzioni mirate contro i responsabili di crimini di guerra e l’apertura di corridoi umanitari. Senza un intervento rapido, però, la città rischia di diventare teatro di un nuovo massacro etnico, con effetti destabilizzanti ben oltre i confini sudanesi.
El-Fasher è oggi l’epicentro di una crisi umanitaria e geopolitica che potrebbe trascinare il Sudan in una spirale irreversibile di guerra civile e frammentazione territoriale. Fermare le atrocità non è solo un imperativo morale: è una necessità strategica per prevenire che il Darfur torni a essere un focolaio di instabilità cronica per l’intero Corno d’Africa e per le rotte migratorie verso il Mediterraneo.











