Sudan. Genocidio e traffico d’oro e armi, gli Usa sanzionano Hemeti e 7 società emiratine

di Giuseppe Gagliano

Il termine è inequivocabile: genocidio. A pronunciarlo è stato il segretario di Stato Usa uscente, Antony Blinken, in riferimento ai crimini commessi in Sudan dalle Forze di Supporto Rapido (RSF) e dalle milizie arabe alleate. Non si tratta più soltanto di crimini di guerra, crimini contro l’umanità o pulizia etnica, come già denunciato a dicembre 2023. Blinken, con un comunicato che suona come una condanna definitiva, ha parlato di genocidio a tutti gli effetti.
Le accuse sono terribili. “RSF e milizie alleate hanno sistematicamente assassinato uomini e ragazzi, persino neonati, su base etnica. Hanno deliberatamente preso di mira donne e ragazze per stupri e violenze sessuali brutali,” ha dichiarato Blinken. “Hanno attaccato civili in fuga, assassinato persone innocenti e impedito l’accesso agli aiuti salvavita.” Una situazione devastante che ha spinto anche la Corte Penale Internazionale ad aprire un’indagine dal luglio 2023.
In parallelo alle dichiarazioni di Blinken, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato sanzioni contro Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemeti, leader delle RSF. Hemeti è accusato di aver orchestrato atrocità sistematiche contro i civili sudanesi e di aver compromesso ogni tentativo di transizione democratica nel Paese.
Le sanzioni prevedono il congelamento dei beni detenuti negli Stati Uniti e il divieto di ingresso nel Paese per Hemeti e i suoi familiari più stretti. Tra questi, i fratelli Algoney e Abdelrahim Hamdan Dagalo erano già sotto sanzioni per il loro coinvolgimento in crimini e traffici illeciti.
Non solo. Washington ha esteso le sanzioni a sette società situate negli Emirati Arabi Uniti, cruciali nella rete finanziaria e logistica delle RSF. Tra queste, la Capital Tap Holding, gestita da Abu Dharr Abdul Nabi Habiballa Ahmmed, figura chiave nell’approvvigionamento di armi e nel contrabbando di oro.
Il conflitto in Sudan ha portato il Paese sull’orlo del collasso. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), la situazione è “particolarmente catastrofica” nel Darfur, con El Fasher assediata dalle RSF dal maggio 2024. La carestia, decretata ad agosto, si è estesa ad altre aree, alimentata dall’uso della fame come arma di guerra.
Più di 21 milioni di sudanesi, la metà della popolazione, dipendono dagli aiuti alimentari, mentre oltre 11,5 milioni sono sfollati all’interno del Paese. Altri 3,2 milioni hanno cercato rifugio nei Paesi vicini. Le vittime accertate sono 20.000, ma le stime parlano di numeri molto più alti.
Le previsioni dell’IPC (Integrated Food Security Phase Classification) sono drammatiche: cinque aree del Darfur, tra cui i campi per sfollati di Zamzam e Abu Shouk, sono già in condizioni di carestia. Altre cinque potrebbero seguirne l’esempio entro maggio 2025, con il rischio di carestia esteso a 17 zone.
Le nuove sanzioni mirano a destabilizzare il sistema economico su cui si regge il potere delle RSF, ormai impegnate in un’operazione di maquillage per legittimarsi politicamente e rafforzare il controllo sul Darfur.
L’obiettivo degli Stati Uniti è chiaro: spingere le parti in conflitto, RSF ed esercito sudanese, a sedersi al tavolo delle trattative. Ma, al momento, entrambe le fazioni sembrano determinate a proseguire una guerra che ha già portato il Sudan in una spirale di morte, fame e distruzione.
La tragedia sudanese, aggravata dall’indifferenza internazionale, resta una ferita aperta nel cuore dell’Africa. E i crimini di Hemeti e delle sue milizie, finalmente etichettati come genocidio, lasciano un’ombra che neppure le sanzioni basteranno a cancellare.