Taiwan. Gli Usa vendono 66 F-16. L’ira di Pechino

Da tempo la Cina ha messo a punto misure per arrivare a “un paese, due sistemi”, ma Taipei mantiene la sua chiusura.

di Giuseppe Gagliano

Come noto Taiwan (Repubblica di Cina) rifiuta di riconoscere il consenso del 1992 in base al quale verrebbe proclamata l’esistenza di un’unica Cina secondo la formula “un paese, due sistemi“. Quali sono state allora alcune delle misure poste in essere dalla Repubblica Popolare Cinese per favorire l’annessione di Taipei a Pechino?
Allo scopo di perseguire questo obiettivo, la Cina ha posto in essere una strategia a doppio binario: da un lato una strategia volta a provocare sul piano militare Taiwan e a esercitare rilevanti pressioni diplomatiche per isolarla ne consenso internazionale, dall’altro lato ha posto in essere misure nel campo educativo volte a favorire l’emigrazione dei cervelli da Taiwan alla Cina continentale.
Per quanto riguarda la strategia della provocazione e delle pressioni diplomatiche sia sufficiente ricordare le provocazioni della aviazione cinese nel 2017 che ha volutamente sfiorato per ben 14 volte la zona di difesa aerea di Taiwan, oppure il tentativo di escludere Taiwan dall’OMS o ancora la pressione politica ed economica esercitata sulle compagnie aeree internazionali per inserire Taiwan come se fosse parte della Cina.
Già l’entrata della Cina all’Onu ha comportato il disconoscimento della Repubblica di Cina da parte di quasi tutti i paesi del globo, per cui oggi Taipei ha relazioni diplomatiche solo con Vaticano (che è Osservatore permanente non membro) e di altri 16 paesi quali Honduras, Belize, Nicaragua, Guatemala, Haiti, Paraguay e diversi stati insulari (Palau, Isole Marshall, Kiribati, Saint Kittis e Nevis, Isole Salomone ecc.).
Per quanto concerne invece la strategia di inclusione, a partire dal febbraio del 2018, l’Ufficio per gli affari di Taiwan ha cercato di porre in essere diverse misure per consentire a un numero sempre maggiore di cittadini dell’isola di andare in Cina.
In particolare queste misure consentono da un lato un accesso estremamente favorevole al mercato del lavoro cinese (attraverso esenzioni fiscali), oppure favoriscono l’occupazione dei cittadini di Taiwan che intendono trasferirsi in Cina.
Un altro strumento realizzato da Pechino è stata l’inaugurazione dei voli diretti nel 2008 tra Cina e Taiwan a prezzi che sono assolutamente irraggiungibili per le altre compagnie aeree.
Diventa allora legittimo domandarsi se questa duplice strategia abbia effettivamente sortito gli effetti sperati da Pechino. Se consideriamo che gran parte dei cittadini di Taiwan preferisce il mantenimento dello status quo in base alla quale si è nel contempo cinesi e taiwanesi e se consideriamo che gran parte dei giovani taiwanesi preferiscono andare in Giappone, a Singapore, negli Stati Uniti e in Europa, dove trovano certamente migliori condizioni sotto molteplici aspetti, la strategia inclusiva cinese ha sortito fino a questo momento scarsi effetti.
Nel quadro delle tensioni di questi giorni fra la Cina e Taiwan, con tanto di portaerei dislocate in prossimità delle acque di quest’ultima e soprattutto l’approvazione da parte del Congresso del Popolo della parte del Libro Bianco che contempla la mano militare per riportare la Repubblica di Cina sotto il controllo di Pechino, si sono inseriti gli Stati Uniti, ansiosi di arginare la potenza militare cinese.
Proprio oggi da Pechino si sono alzati gli strali per l’annuncio della Casa Bianca della vendita di 66 caccia F-16V per un valore di 8 miliardi di dollari. Solo pochi mesi fa la Cina aveva minacciato ritorsioni nei confronti degli Usa (ben al di là della guerra dei dazi) a seguito della vendita a Taiwan di armamenti per 2,2 miliardi di dollari, ed oggi il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Geng Shuang, ha ammonito che “Gli Stati Uniti dovranno sostenere tutte le conseguenze innescate dalla vendita”, e che “La Cina prenderà le misure necessarie per difendere i propri interessi, in base allo sviluppo della situazione”.