di Giuseppe Gagliano –
Il ritorno di Tundu Lissu sulla scena politica tanzaniana segna non solo una sfida personale, ma il simbolo di un’intera democrazia che lotta per respirare. Il leader del partito CHADEMA, già sopravvissuto a un attentato nel 2017 e reduce da anni di esilio, è stato nuovamente arrestato il 10 aprile mentre guidava una campagna pubblica contro la riforma elettorale. L’accusa è pesante: alto tradimento. Il contesto, inquietante: elezioni generali previste per ottobre e un Paese in cui l’apparato di sicurezza sembra più attento a reprimere l’opposizione che a garantire pluralismo.
Lissu, arrestato a Mbinga mentre chiedeva una riforma della commissione elettorale, è stato portato in tribunale a Dar es Salaam, mentre la polizia disperdeva i suoi sostenitori con gas lacrimogeni. Il suo slogan, “No alle riforme, no alle elezioni”, è diventato la linea rossa di uno scontro tra Stato e opposizione che non promette esiti pacifici.
La presidente Samia Suluhu Hassan, salita al potere dopo la morte di Magufuli, era stata inizialmente accolta come figura moderata e riformista. Eppure, negli ultimi mesi, il ritorno alle logiche coercitive del passato si è fatto evidente: arresti arbitrari, limitazioni alla libertà di assemblea, e intimidazioni sistematiche contro i partiti d’opposizione. La stessa campagna di Lissu è stata descritta dalle autorità come “incitamento pubblico contro le elezioni”, in un paradosso che colpisce al cuore l’idea stessa di democrazia.
Dietro questa repressione c’è l’ombra del partito-Stato: il CCM, al potere ininterrottamente dal 1961, che continua a controllare l’apparato giudiziario, l’amministrazione e l’autorità elettorale. Il CHADEMA chiede la creazione di un organismo indipendente per garantire elezioni credibili, ma il potere risponde con la criminalizzazione del dissenso.
L’accusa di tradimento contro Lissu appare sproporzionata e politicamente strumentale, volta più a neutralizzare un oppositore scomodo che a difendere lo Stato. La storia personale di Lissu, colpito da 16 proiettili, rifugiato all’estero, tornato per ricostruire il dissenso democratico, è diventata ora una questione nazionale.
La Tanzania si trova così a un bivio: può scegliere la via della maturità democratica, aprendo a riforme e a un dialogo vero con l’opposizione, oppure può sprofondare in un autoritarismo mascherato da stabilità. In gioco non c’è solo la libertà di Tundu Lissu, ma la credibilità dell’intero sistema politico davanti al mondo.