Tattiche e regole di ingaggio nell’interdizione navale

di Giovanni Caprara

Il blocco navale o la disposizione di chiudere un porto è funzionale ad impedire ad unità di superficie di penetrare nelle acque territoriali di una nazione che non intente consentirne il passaggio o l’approdo. L’esempio più attuale è nella nave Sea Watch 3, battente bandiera olandese e gestita dall’Ong tedesca Sea Watch, la quale entrò nel porto di Lampedusa violando il divieto e l’alt intimatogli dalla Guardia di Finanza. In tutte le operazioni militari, in particolare in tempo di pace, MOOTW Military Operations Other Than War, devono essere stabilite preventivamente le regole di ingaggio, ROE, sia per definire la proporzionalità dell’uso della forza in base alla minaccia subita, quanto le finalità della missione. Le ROE sono fondamentali anche a rivelare, sia alle Forze amiche che ostili, la reale natura delle operazioni, e per ottenere il consenso del pubblico. Un eventuale abuso od utilizzo indiscriminato della forza porterebbe a gravi ripercussioni sul raggiungimento degli obiettivi prestabiliti, e metterebbe a repentaglio la sicurezza delle Forze nazionali e amiche, dovunque esse si trovino. Il blocco navale è, più di ogni altro, un conflitto politicizzato, pertanto i decisori politici saranno ineludibili nella condotta delle operazioni, ed inevitabilmente influiranno sulla stesura ed eventuale modifica delle ROE. L’interdizione marittima, consiste nella misura di respingimento del transito navale proveniente da una certa direzione od in navigazione verso determinati porti con azioni che fungano da ostacolo alla nave che tenta di forzare il blocco. In tempo di pace, le ROE costituiscono l’unica possibilità per le FF.AA. di usare le armi, in particolare dove il ricorso alla forza viene autorizzato a garanzia della vita e dell’incolumità del personale, ma anche a salvaguardia della sovranità e territorialità dello Stato. L’utilizzo delle ROE nelle missioni navali sono complicate dalle numerose limitazioni di carattere operativo e giuridico. I poteri di una unità di superficie sono esercitabili laddove essa entri in contatto con navigli sospetti, ossia con imbarcazioni che, sulla base di rapporti di intelligence, possano rappresentare l’emergere di una possibile minaccia per la Forza navale. Durante le fasi dell’embargo potrebbero verificarsi altri pericoli, come piccole imbarcazioni a motore imbottite di esplosivo, le slow flyers governate da kamikaze. Per fronteggiare incursioni di questo genere, le unità da battaglia sono generalmente autorizzate ad istituire durante la navigazione una «zona di sicurezza mobile» nelle loro vicinanze, al cui interno ogni contatto non identificato è considerato ostile. Anche in questo caso esistono delle limitazioni: l’estensione spaziale e temporale della zona; il contenuto dei diritti esercitati non devono eccedere quanto richiesto dalla necessità militare; il rispetto del principio di proporzionalità; l’inizio, la durata, l’esatta delimitazione dell’area. Il contenuto dei diritti rivendicati nella zona di sicurezza, vanno comunicati agli avversari e agli alleati, in tal modo da legittimare sia l’ingaggio dei barchini esplosivi diretti contro unità navali in navigazione, quanto per proseguire in sicurezza le operazioni di blocco. Una ulteriore minaccia può provenire da battelli privati trasformati in navi da guerra. Questa mutazione sarà messa in atto a seguito di una procedura rigorosa dettata dalla VII Convenzione dell’Aja, dove è riportato che “l’equipaggio deve essere soggetto alla disciplina militare e comandato da un ufficiale della marina da guerra”. Questa unità diventa dunque soggetta alle regole di ingaggio della Flotta ed in caso contrario rappresenterebbe un illecito internazionale per l’attività posta in essere da un’imbarcazione. Con riguardo alla minaccia dagli slow flyers, l’SMM 9, agli artt. 135 – 136, prevedono la possibilità di ingaggio da aeromobili laddove questi: “compiano atti bellici, trasmettano notizie militari per uso immediato, si oppongano con la forza alla visita od alla cattura, oppure eseguano segnalazioni in seguito all’ordine impartito dalla nave di astenersene”. Questo costituisce uno dei passaggi fondamentali contenuti nelle regole di ingaggio previste nel corso delle Maritime Interdiction Operations, MIO. Quest’ultime vengono individuate dalla dottrina militare come operazioni di sorveglianza del traffico marittimo commerciale volte a realizzare un embargo navale coercitivo contro il Paese avversario. I principi generali applicabili ai conflitti armati in mare, sottopongono i belligeranti ad alcune azioni come la scelta dei metodi e mezzi, i quali non dovranno essere illimitati, il divieto di ordinare che non ci siano sopravvissuti, o di condurre le ostilità’ in funzione di tale decisione. Infatti lo Stato che applicherà l’interdizione navale è tenuto a costituire e mantenere attivo un servizio di ricerca e soccorso, SAR search and rescue, al fine di tutelare la sicurezza marittima, come pure aerea. Tale principio è disciplinato dalla Convenzione sulla sicurezza della vita umana del 1974 e dalla Convenzione di Amburgo del 1979, concernente la ricerca e soccorso in mare. Con riferimento alla proposta del precedente governo gialloverde di una interdizione delle coste italiane ai migranti, è da specificare che, in tempo di pace, viene considerato una misura illecita in quanto implica il diniego di ingresso od uscita dalla costa bloccata in contrapposizione ai regolamenti internazionali di libera navigazione, confutabili solo, appunto, in tempo di guerra. Nel caso della Libia, si potrebbe mettere in atto un blocco non assoluto, o meglio mirante solamente ad impedire il trasporto di persone che migrano, pertanto attuato limitatamente in uscita dalle coste libiche. Missione non semplice, perché i bastimenti con a bordo persone che migrano, se dovessero forzare l’area interdetta, implicherebbe il sequestro dell’imbarcazione non osservando il principio, specificato nel Diritto Bellico, di distinguere tra civili e combattenti, e tra beni di natura civile ed obiettivi militari. Infatti, in base al regolamento internazionale, le navi mercantili e gli aerei civili non costituiscono obiettivo militare.
Nell’interdizione navale, la missione da assolvere è quella del “sea control”, il dominio del mare che solo grandi flotte, le cosiddette marine di “acque blu”, possono attuare, anche schierando, se necessario, una portaerei per il supporto e l’avvistamento avanzato. E’ possibile anche effettuare blocchi di aree marine ristrette, è il caso della minaccia di interdizione di Hormutz paventata dall’Iran, a cui basterà rallentare il traffico navale delle petroliere. In questo caso, applicheranno il “sea denial”, il diniego del mare, possibile per molte marine di “acque verdi”, infatti lo spazio da pattugliare è limitato e le forze navali di Teheran sono numericamente sufficienti per riuscirvi. L’embargo navale, in generale, è un’operazione che può differire in base alle acque che si vogliono bloccare. Se sono quelle proprie è previsto anche l’impiego delle corvette, se invece sono della nazione avversaria la prima linea è affidata ad unità pesantemente armate, le fregate, la seconda è pattugliata da navi più veloci come i destroyers. Le variabili che influiscono su ogni attività in mare sono molte e rischiano di incidere soprattutto durante le manovre più pericolose, come quelle di ostruzione. È in questi momenti che il rischio di commettere un errore di valutazione e/o di manovra diventa elevato. Due sono gli embarghi navali più importanti in cui furono commessi sbagli: il primo è quello di Cuba. Mentre i Leader di Stati Uniti e Russia tentavano di evitare lo scontro armato, il Comandante del destroyer USS Cony, non riuscendo a far emergere un sommergibile russo, il B59, che tentava di forzare il blocco, decise di passare ad azioni più coercitive e lo bersagliò con bombe di profondità a carica da addestramento, ossia solo produttrici di esplosioni ma non in grado di arrecare danni. L’ufficiale russo al comando Savitsky lo capì, ma non poteva certo prevedere sin dove l’aggressore si sarebbe spinto, anche in considerazione del costante incremento dell’atteggiamento ostile del destroyer. Savitsky, valutò erroneamente la crescente azione di offesa dell’unità di superficie, ed ipotizzò addirittura che la guerra nucleare fosse già in atto, pertanto decise di colpire il Cony con l’arma più letale di cui disponesse ed ordinò di approntare un tubo di lancio con siluro a testata nucleare. Il protocollo per l’impiego di armi nucleari prevedeva l’unanime accordo del Comandante, del Secondo e dell’Ufficiale Politico. Lo Zampolit Maslenikov supportò Savitsky, ma l’Ufficiale in seconda Vasilij Arkhipov pronunciò un perentorio e distonico “Niet”, salvando il mondo dall’olocausto nucleare; Il secondo caso è nel 1997 quando l’Italia attuò un blocco navale per limitare l’immigrazione dall’Albania. L’accordo fra le due nazioni prevedeva il controllo nelle acque territoriali albanesi e venne affidato al 28° Gruppo Navale italiano, che operava armato e pronto a rispondere al fuoco se provocato. A svolgere le operazioni di pattugliamento nel canale d’Otranto c’erano cinque unità della marina Italiana: le fregate Zeffiro, Aliseo, Sagittario, il pattugliatore Artigliere e la corvetta Sibilla. Le prime quattro avevano il compito di perlustrare le coste albanesi, nave Sibilla, invece, operava all’interno delle acque territoriali nazionali. Una motovedetta albanese carica di donne e bambini, la Katër i Radës, tentò di penetrare nella linea di difesa italiana e venne intercettata da nave Sibilla che iniziò la manovra di dissuasione con cerchi concentrici sempre più prossimi all’intruso, ma il comandante italiano sbagliò e speronò l’imbarcazione albanese. La Katër i Radës si rovesciò in pochi minuti ed 81 persone persero la vita. Le regole di ingaggio che disciplinano un embargo navale dovrebbero essere: query, richiesta di identificazione rivolta alle navi di qualsiasi bandiera avente ad oggetto destinazione, origine, immatricolazione e carico verso l’area interdetta; visit and search, fermo ed ispezione di quelle sospettate di trasportare carichi vietati; diversion, dirottamento in porti determinati per essere sottoposte a sequestro e/o confisca; disabling fire, uso della forza in modo graduale e proporzionato, colpi di avvertimento contro le unità che non obbediscono all’intimazione di fermo e presa di possesso, con team di abbordaggio armato, delle navi non cooperative che trasportano carichi vietati. L’unità da battaglia che voglia intimare il fermo alza la bandiera nazionale, quindi invita l’intruso a fermarsi mediante segnali internazionali. Se la nave non ubbidisce, deve essere ripetuto l’ordine di fermo sparando, a proravia della stessa, un colpo di avvertimento.
L’interdizione navale è uno strumento efficacie per impedire il transito di navi con carichi non autorizzati, ma dovrà essere ben regolamentata e perfettamente pianificata dai decisori ed eseguita dai comandanti delle unità da guerra.