di Giuseppe Gagliano –
Il presidente indonesiano Prabowo Subianto si è recato a Bangkok, la prima visita ufficiale in vent’anni di un capo di Stato indonesiano in Thailandia. L’iniziativa ha sancito un mutamento sostanziale nello scenario geopolitico del Sud-est asiatico. La firma congiunta con la premier Paetongtarn Shinawatra di un accordo per una “partnership strategica” tra i due Paesi non rappresenta un gesto simbolico, ma un passaggio rilevante nella riconfigurazione delle relazioni regionali, mentre il baricentro della politica mondiale continua a spostarsi verso l’Asia-Pacifico.
L’incontro si è tenuto nel quadro di una crisi regionale senza precedenti: il Myanmar dilaniato dalla guerra civile, le tensioni crescenti nel Mar Cinese Meridionale e l’incerta traiettoria dell’ASEAN, sempre più spaccata tra fedeltà agli Stati Uniti, relazioni economiche con la Cina e nuove ambizioni multipolari.
Proprio in questo contesto, la Thailandia e l’Indonesia, due economie emergenti, due regimi a guida fortemente centralizzata, due Stati membri dell’ASEAN, decidono di unirsi in un patto di ferro che va oltre i numeri del commercio bilaterale (17,4 miliardi di dollari nel 2024), includendo sicurezza marittima, cybersicurezza, esercitazioni militari congiunte, lotta al terrorismo e repressione dei crimini transnazionali. In altri termini, una convergenza d’interessi in chiave difensiva, che potrebbe trasformarsi, col tempo, in una piattaforma regionale autonoma.
Non è un caso che l’iniziativa sia stata accompagnata anche da un memorandum sulla sanità pubblica e il turismo medico: due leve strategiche in un’Asia sempre più sensibile al soft power e alla diplomazia economica. Né va sottovalutato l’elemento simbolico della prima “Consultazione dei Leader”, ideata proprio da Bangkok per dare corpo a un dialogo stabile tra capi di Stato dell’area, in alternativa all’inefficiente burocrazia multilaterale dell’ASEAN.
La questione del Myanmar è emersa come catalizzatore geopolitico. Subianto ha elogiato il ruolo diplomatico della Thailandia nel facilitare il dialogo tra giunta militare e resistenza armata. Ma le parole contano fino a un certo punto: l’ASEAN si è rivelata incapace di intervenire efficacemente, paralizzata dai veti interni e da un principio di non-ingerenza ormai anacronistico. Il rischio è che altri attori, Cina in primis, continuino a gestire la crisi attraverso un’agenda parallela, strumentale agli interessi strategici di Pechino.
Non meno importante è stato il passaggio sul possibile ingresso della Thailandia nel BRICS. L’endorsement di Subianto è più di una formalità diplomatica. L’Indonesia, membro effettivo dal gennaio 2025, si candida a essere la testa di ponte asiatica del gruppo emergente che sfida l’ordine atlantico: non solo Cina e Russia, ma anche Egitto, Etiopia, Iran, Emirati. Se Bangkok dovesse entrare a farne parte, si configurerebbe una vera e propria frattura nella coesione ASEAN e nel fronte indo-pacifico immaginato da Washington.
Sullo sfondo due visioni del mondo si confrontano: da una parte il modello delle democrazie liberali a guida occidentale, dall’altra un sistema multipolare dove le alleanze sono fluide, le priorità economiche contano più dei diritti umani e i confini tra politica interna e strategia internazionale si fanno sempre più sfumati.
In questo scenario la nuova alleanza tra Thailandia e Indonesia è solo un tassello, ma rivela molto del futuro che si prepara sotto la superficie dell’attualità diplomatica. E conferma che, oggi più che mai, l’Asia non è il teatro della politica globale: ne è il cuore pulsante.