Togo. Lo scontro politico scende in strada

di Valentino de Bernardis

Da fine agosto il confronto politico tra il partito di governo Unione per la Repubblica (Unir) del presidente Faure Essozimna Gnassingbé e l’opposizione guidata dal Alleanza Nazionale per il Cambiamento (Anc) di Jean-Pierre Fabre, si è spostato dall’aula parlamentare alle strade. Un numero sempre maggiore di manifestazioni contro l’attività politica presidenziale (e alcune in suo favore) hanno richiesto l’intervento della polizia per evitare che si potesse innescare un vortice di violenze dalle conseguenze imponderabili.
Ad accendere la miccia è stato il nuovo progetto di revisione costituzionale promosso dal presidente Gnassingbé, portata erroneamente avanti a colpi di maggioranza in parlamento, senza voler cercare il più ampio consenso possibile, come necessario quando si decide di mettere mano alle regole del gioco. All’interno dell’ampiamente accettato ritorno alla costituzione del 1992, abbandonando quindi le revisioni del 2002, con il ripristino del sistema elettorale a doppio turno per l’elezione del presidente e l’abbandono del turno unico, lo scontro si è esacerbato attorno all’articolo 59, sulla limitazione del mandato presidenziale.
Il testo, pur riconoscendo come la carica presidenziale della durata di cinque anni possa essere rinnovata una sola volta, vuole nei fatti abrogare il riferimento per cui dopo il secondo mandato consecutivo non si possa prorogare per alcun motivo; tema chiave invece per l’opposizione, per evitare possibili interpretazioni a essa sfavorevoli in concomitanza con le prossime elezioni, previste per il 2020, specialmente in un paese in cui Gnassingbé, in maniera diretta o indiretta, ha la possibilità di influenzare le scelte del parlamento, della corte costituzionale e dell’esercito.
Inoltre l’opposizione, nell’intento di defenestrare la famiglia Gnassingbé dai vertici delle istituzioni togolesi (il padre Étienne Eyadéma ha guidato il paese dal 1967 al 2005, mentre lo stesso Faure è al potere dal 2005), vorrebbe rendere immediata l’applicazione dei nuovi emendamenti, rendendo di fatto ineleggibile l’attuale presidente nel 2020, condizione al momento impossibile da accettare per Gnassingbé.
Ad oggi, le continue manifestazioni di piazza (altre sono previste anche nelle prossime settimane), sommate ad una più incisiva attività parlamentare, hanno iniziato a portare i primi risultati tangibili nella lotta politica. La decisione di non partecipare alla votazione sugli emendamenti costituzionali da parte dell’opposizione ha fatto mancare la maggioranza richiesta dei 4/5 per rendere effettivo un qualsiasi progetto di riforma costituzionale, come previsto dall’articolo 144. E’ scattato quindi l’obbligo per il governo di indire un referendum per far approvare le legge costituzionale, aprendo nei fatto nuovi spazi pubblici che l’opposizione dovrà essere pronta a fare suoi.
Una partita a scacchi dove ogni pezzo preso all’avversario è controbilanciato da una mossa inaspettata e potenzialmente risolutiva della controparte. Sebbene la necessità di indire un referendum costituzionale rappresenti una vittoria parziale per l’opposizione, dall’altra essa potrebbe essere la causa della sua totale sconfitta. In caso di vittoria referendaria per il governo la disfatta sarà totale per l’Anc e i suoi alleati, proprio in nome di quella sovranità popolare che li ha uniti nell’ultimo mese a scendere in piazza e a manifestare il proprio dissenso. Nonostante la denuncia di brogli, più o meno veritieri, bisogna ricordare come la macchina elettorale del presidente Gnassingbé ha sempre funzionato, senza alcuna sbavatura.
Da osservatori esterni, rimaniamo in attesa della prossima mossa, certamente non risolutiva, da ambo le parti.

@debernardisv
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