Torture e altri orrori nell’Egitto di al-Sisi

di Vanessa Tomassini –

Chiediamo scusa ai lettori se questo articolo turberà la sensibilità di alcuni, ma a volte la realtà è più cruda di ciò che potremmo aspettarci, anche in un Paese che sentiamo più vicino come l’Egitto. Il 5 luglio 2013 l’esercito egiziano rovesciava l’ultimo presidente democraticamente eletto, Mohamed Morsi. Da questo momento, come denuncia Human Right Watch nel report rilasciato il 5 settembre. la tortura è tornata ad essere uno degli strumenti più utilizzati dalle forze di polizia, sotto gli occhi del presidente Abdel Fattah al-Sisi, che sembra aver dato mano libera al Ministero dell’Interno pur di una stabilità politica, voluta a tutti i costi. Talmente voluta che la stessa amministrazione al-Sisi si sta macchiando degli stessi orrori, che avevano portato alla rivoluzione del 2011.
La polizia controllata dal ministero dell’Interno e la sua Agenzia nazionale per la sicurezza hanno diffusamente utilizzato accuse arbitrarie, catture forzate e torture contro i dissidenti, spesso membri reali o presunti, simpatizzanti della Fratellanza Musulmana, principale partito polito di opposizione ad al-Sisi. Il Coordinamento indipendente egiziano per i Diritti e le Libertà (ECRF), un gruppo che si batte per il rispetto dei diritti umani, ha individuato trenta persone uccise sotto tortura nelle stazioni di polizia e in altri siti di detenzione del ministero dell’Interno, tra il mese di agosto 2013 e il dicembre 2015. Gli avvocati del gruppo, che offre assistenza legale alle famiglie delle vittime, hanno ricevuto nel 2016 oltre 830 denunce di casi di tortura, registrando altre quattordici morti, avvenute in detenzione. ECRF ha rivelato che le forze di polizia sono solite torturare i detenuti politici con percosse, scosse elettriche, comportamenti stressanti e stupri.
HRW ha intervistato diciannove ex detenuti e la famiglia di un altro arrestato, torturato tra il 2014 e il 2016, dimostrando come gli agenti e gli ufficiali dell’Agenzia nazionale per la sicurezza utilizzino lo strumento della tortura durante le loro indagini costringendo i sospettati dissidenti a confessare, o divulgare informazioni, o in qualche caso punirli senza un giusto processo, come prevedrebbe la stessa legislatura egiziana ed internazionale. Gli ex detenuti hanno raccontato di essere stati arrestati, senza alcuna prova, di essere stati rinchiusi forzatamente, torturati e picchiati fino alla deposizione di una confessione dinanzi ai pubblici ministeri. Gli stessi funzionari delle aule di giustizia presserebbero gli imputati affinché confermino le proprie dichiarazioni fatte sotto tortura, senza porre alcuna domanda sulle violazioni da loro subite. Una sorta di processi farsa, dove gli ufficiali della Sicurezza nazionale manipolano per fino le date degli arresti. In alcuni casi, si è detto che l’imputato è stato arrestato il giorno prima, mentre il soggetto sarebbe stato condotto in cella diverse settimane prima, senza la possibilità di contattare i propri familiari e senza un minimo di assistenza legale.
Comportamenti incomprensibili espressamente vietati dalla costituzione egiziana, che prevede l’arresto solo in seguito ad un interrogatorio, che deve avvenire esclusivamente in presenza di un avvocato. La legge concede inoltre agli imputati la facoltà di non rispondere, oltre a sancire che il detenuto debba essere presentato ad un procuratore entro 24 ore dalla cattura. Sempre dopo che sia stato informato della ragione del suo arresto. Sempre secondo la Costituzione all’indagato è consentito di contattare un avvocato e un familiare. La legge del Cairo “vieta la tortura, l’intimidazione, la coercizione e il danno fisico o morale dei detenuti” e precisa che la tortura è un “crimine senza limiti di legge”. Inoltre prevede che tutte le dichiarazioni fatte sotto crudeltà o minacce debbano essere ignorate, rispettando gli impegni assunti dall’Egitto con la comunità internazionale nel raggiungere gli standard di rispetto dei diritti umani. Gli intervistati da HRW hanno affermato che le loro tristi esperienze sono iniziate con un blitz all’alba nella propria abitazione, o con degli appostamenti della polizia lungo il tragitto che compiono abitualmente verso il posto di lavoro, l’università o nei luoghi che frequentavano, senza che venga mostrato loro un mandato, ma soprattutto senza veder palesati i motivi dell’arresto. In alcuni casi, mentre i sospettati venivano condotti nelle stazioni di polizia o negli uffici della sicurezza nazionale, altri agenti arrestavano anche i loro familiari. Nei venti casi descritti, la maggior parte delle torture sono avvenute negli uffici della polizia, mentre sei uomini hanno dichiarato di essere stati sottoposti a torture per decenni presso la sede dell’Agenzia per la sicurezza nazionale, al ministero dell’Interno, al Cairo.
Le torture hanno portato cinque degli intervistati a confessare tramite la lettura di righe preparate ad hoc dagli agenti, filmati in un video e diffusi sul social network. L’inchiesta dell’osservatorio per i diritti umani, giunge in un clima particolarmente autoritario: arresti ed espatri per diversi giornalisti “scomodi2, giovani protestanti torturati ad Alessandria d’Egitto, oltre all’arresto di un ex ministro delle Finanze e suo fratello, massacrati con le scosse elettriche fino alla confessione di appartenere alla Fratellanza Musulmana. Tra i tanti casi riportati dalla stampa quello che tocca in maniera particolare gli italiani, è quello di Giulio Regeni. Il corpo dello studente friulano, ucciso in circostanze ancora da chiarire, presentava “diversi segni di percosse, torture, bruciature di sigaretta, escoriazioni e un orecchio tagliato”, come aveva dichiarato il procuratore capo di Giza, Ahmad Nagi.
“I detenuti – si legge nel report – hanno raccontato che all’inizio delle sezioni di tortura vengono bendati, spogliati e ammanettati, vengono colpiti con una pistola elettrica spesso in regioni sensibili come le orecchie o la testa, mentre vengono schiaffeggiati e picchiati con barre di metallo”. Se i detenuti non forniscono risposte soddisfacenti alle loro domande iniziali, “gli ufficiali aumentano la durata e l’intensità delle scosse elettriche e utilizzano una pistola a stordimento su altre parti del corpo, quasi sempre i genitali”. Se le scosse non dovessero bastare, scrive Human Right Watch, “gli ufficiali passano a due tipi di posizioni di stress per infliggere gravi dolori ai sospettati”, arrivando ad appendere i detenuti alle porte o al soffitto con le manette, con i polsi e le spalle girati per minuti, o ore. Ma le descrizioni nel report, non si fermano a questo, un ex detenuto ha raccontato di essere stato penetrato con un bastone dai poliziotti del Cairo. Un altro, invece ha affermato che “un ufficiale di sicurezza nazionale ha penetrato il suo braccio con un chiodo metallico avvolto in un filo elettrico per aumentare il dolore delle scosse elettriche”. Un avvocato detenuto dagli ufficiali di sicurezza nazionale in una struttura del governatorato di Gharbiya ha detto che “gli agenti hanno avvolto un filo intorno al suo pene, alimentando l’elettricità”. Il report denuncia la totale mancanza di rispetto del diritto internazionale, con la partecipazione di alcuni Procuratori, che non avrebbero preso in considerazione i racconti delle torture subite dai detenuti.
La tortura è un crimine contro l’umanità? Per al-Sisi sembrerebbe proprio di no, per HRW invece sì e fa appello alla Corte penale, raccomandando al presidente al-Sisi di instituire un procuratore speciale o un ispettore generale per investigare le denunce degli abusi da parte dei funzionari del Ministero dell’Interno. Secondo il diritto internazionale la tortura rappresenta un reato di giurisdizione universale, cioè perseguibile ovunque, quindi quale sarà la reazione dell’ONU di fronte a certe nefandezze?