Trump minaccia ancora Dazi, ma i cinesi non si piegano

In ballo c’è il ruolo della Cina quale potenza politico-militare ed il suo neocolonialismo.

di Enrico Oliari –

Al governo cinese non è restato altro da fare che annunciare “le necessarie contromisure”, nel momento in cui le minacce di Donald Trump di introdurre nuovi dazi dovessero trasformarsi in cosa concreta. “Non accetteremo alcuna massima pressione o ricatto”, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, ma è un dato di fatto che la guerra commerciale messa in atto da Donald Trump si sta avviando verso un punto critico, e non solo per la Cina.
Trump ha reso noto l’intenzione di mettere nuovi dazi di “ben oltre il 25 per cento” su 300 miliardi di dollari in beni importati dalla Cina negli Usa, in pratica su tutto quanto non è stato sovra tassato fino ad oggi, e siamo ben oltre quei 300 miliardi di dollari di surplus commerciale che il presidente Usa voleva livellare.
Diplomaticamente il ministro degli Esteri Wang Yi ha commentato che “i dazi non risolvono le frizioni”, ma è un dato di fatto che con la manovra dei dazi Trump sta cercando di contenere la Cina non soltanto dal punto di vista economico. Se prima la Repubblica Popolare Cinese aveva un ruolo ponderante ma limitato al suo diritto di veto, oggi è entrata nell’attenzione della Casa Bianca in quanto minaccia alla leadership politico-militare mondiale, si pensi anche al solo Libro Bianco sfornato da Pechino pochi giorni fa in cui si parla dell’annessione forzata della Repubblica di Cina (Taiwan), o ancora all’armamento nucleare incontrollato nel momento in cui Usa e Russia dovrebbero rispettare l’Inf (accordo sulla proliferazione delle testate atomiche), o ancora alla crescente potenza marittima con il continuo varo di portaerei.
Tornando all’aspetto economico, che è comunque una sola faccia del diamante, c’è da dire che l’introduzione dei dazi Usa e la risposta più o meno simmetrica di Pechino ha fatto crollare le esportazioni cinesi del 19%, e le importazioni del 12%, cioè complessivamente 271,04 miliardi di dollari.
La Cina non è quindi più partner commerciale degli Usa, ma a preoccupare il governo cinese sono le strategie di investimento che i colossi stanno mutando lasciando la Cina per non incorrere nei dazi Usa.
Trump continua a parlare della necessità di un nuovo accordo, anche da Cincinnati ha minacciato che “finché non ci sarà un accordo tasseremo la Cina come non mai”, ma i molti colloqui e le pacche sulle spalle fino ad oggi non hanno portato a nulla, forse perché non è semplicemente ribilanciare l’import-export e tutelare la proprietà intellettuale l’obiettivo di Trump. Prova ne è il fatto che i cinesi sembrano determinati a sopportare i dazi piuttosto che arrivare ad un accordo che riequilibri la bilancia commerciale, perché entrare in un’ottica di compromesso significa cedere sulla linea dell’espansionismo e del neocolonialismo, si pensi alla Nuova Via della Seta o alla crescente presenza cinese in Africa, dove più i cinesi costruiscono infrastrutture in cambio di terreni coltivabili, necessari per sfamare un miliardo e 300 milioni di cinesi) e risorse minerarie, più riducono la capacità d’azione degli altri paesi, a cominciare dagli Usa.