Tunisia. Coronavirus: aumentano le violenze sulle donne

di C. Alessandro Mauceri

In molti paesi gli effetti “collaterali” del lockdown sono spaventosi: in Tunisia dal 22 marzo al 3 maggio sono stati segnalati 6.693 casi di violenze contro le donne. A darne notizia il ministro tunisino della Donna, della Famiglia, dell’Infanzia e delle persone anziane, Asma Shiri. In poco più di un mese al nuovo numero verde per le segnalazioni sono arrivate 1.347 denunce di violenze di tipo fisico, 1.462 per violenze morali, 329 sessuali, 763 economiche, 15 istituzionali e 1.624 verbali. A queste si aggiungono 448 segnalazioni riguardanti i bambini. Numeri preoccupanti, per diversi motivi. Innanzitutto per il ristretto lasso di tempo cui si riferiscono, solo un mese e mezzo. Poi per il fatto che rappresentano una percentuale altissima rispetto a molti altri paesi, anche africani. Da ultimo, ma non meno importante, perché i casi denunciati fanno pensare ad un sommerso molto più profondo, come purtroppo avviene anche in Italia, dove spesso il numero dei casi di violenze denunciati sono solo una minima parte del totale delle violenze subite dalle donne.
Fino al 2017 in Tunisia non esisteva una legge sulle violenze domestiche. A luglio di quell’anno il Parlamento approvò all’unanimità la legge per porre fine alle violenze contro le donne. Una decisione non da poco e dovuta forse anche al numero di rappresentati di sesso femminile presenti in Parlamento (in Tunisia le donne occupano circa un terzo dei seggi, una percentuale tra le più alte in tutto il mondo arabo).
Questa legge, composta da 43 articoli in cinque capitoli, fu una vera rivoluzione non solo in termini di prevenzione e contrasto delle violenze di genere, ma anche per l’uguaglianza di genere: problema ben lontano dall’essere risolto in molti paesi arabi nonostante le linee guida fornite dalle Nazioni Unite. La nuova legge sanziona “qualsiasi atto di aggressione fisica, morale, sessuale o economica basata sulla discriminazione tra sessi” e prevede pene più severe per gli aggressori, per cui è stato abrogato l’articolo 227 bis del Codice Penale che prevedeva il “perdono” per l’uomo colpevole di aver stuprato una minorenne nel caso in cui accettasse di sposare la vittima!. La legge introduce anche una forma di assistenza alle vittime di violenza domestica e consente alle donne di chiedere un’ordinanza restrittiva contro i molestatori anche senza la necessità di avviare un processo penale, mentre in molti paesi, non solo quelli arabi, pone le donne e i minori in situazioni estremamente delicate. Ma va oltre: introduce misure preventive e programmi di formazione per gli operatori sanitari e scolastici per dare assistenza alle vittime.
Nei giorni scorsi si è tenuta la prima riunione del Comitato di riflessione sull’elaborazione dei programmi a favore delle donne per ridurre le conseguenze dell’impatto da coronavirus, un gruppo di lavoro fortemente voluto dal ministro Asma Shiri che include esperti e specialisti in sociologia, psicologia, infanzia, scienze della comunicazione, statistica, economia, finanza e neurologia. Purtroppo, dai dati che sono emersi, il cambiamento non è ancora avvenuto e solo in parte è stato possibile fermare i casi di violenza contro le donne.
Casi come quello di pochi mesi fa: vittima una ragazza tunisina, che ha chiesto di non pubblicare il suo nome temendo di avere conseguenze. A Tunisi erano già in atto le misure per l’emergenza coronavirus, ma questo non le ha impedito di raggiungere un traguardo difficile per molte donne nel suo paese e in molti paesi arabi: conseguire una laurea. Lei si è laureata in civiltà, letteratura e lingua italiana e ha anche trovato subito un lavoro, altro limite per molte donne. Un pomeriggio, poco prima dell’ora del coprifuoco introdotto proprio a causa dell’epidemia, mentre stava rientrando a casa ha incontrato due persone, un uomo e una donna che, con uno stratagemma e tanta premeditazione l’hanno portata in una strada isolata. Da qui è stata trascinata a forza in un edificio abbandonato. Per scappare la ragazza si è lanciata dal secondo piano del palazzo. Cadendo si è fratturata due vertebre. É stata raggiunta dai rapitori e riportata nell’edificio da cui era fuggita. Qui è stata ripetutamente violentata e picchiata da criminali incuranti del fatto che aveva la schiena spezzata. Il giorno dopo è stata liberata (altre donne vittime di violenze non sono state altrettanto fortunate) ed è riuscita a chiedere aiuto. Portata in ospedale ha scoperto che le fratture alle vertebre le avevano lesionato il midollo: è stata operata d’urgenza ma sono poche le speranze che possa tornare a camminare.
Grazie all’aiuto dei familiari, ed anche in questo è stata fortunata dal momento che molte donne vittime di violenze che vengono abbandonate al proprio destino dalla propria famiglia, di alcuni amici e dei volontari di una organizzazione umanitaria, è sopravvissuta. É una donna forte: vuole continuare a vivere. Ma non in Tunisia. Non può sopportare il pensiero di passare per la strada dove è stata rapita o l’indifferenza dei suoi violentatori, che l’hanno picchiata e violentata sapendo che aveva la spina dorsale spezzata. Vorrebbe scappare, emigrare magari in Italia, Paese che ama, ma dove le frontiere sono chiuse a causa dell’epidemia di coronavirus.
In molti paesi, non solo in Tunisia, l’aumento delle violenze nei confronti di donne e bambini è uno degli effetti peggiori della pandemia in atto. É la prova, se mai ce ne fosse bisogno, che in tempi di incertezza economica e di instabilità sociale gli abusi domestici e le violenze aumentano. A ribadirlo, pochi giorni fa Claire Barnett, responsabile nel Regno Unito di UN Women, l’organizzazione delle Nazioni Unite dedicata alla parità di genere e all’emancipazione delle donne: esistono “prove evidenti” che “quando le comunità subiscono ulteriori stress, i tassi di violenza aumentano”. In alcuni paesi si cerca di far fronte a queste violenze come si può: in Spagna ad esempio il ministero della Giustizia ha incluso i tribunali che si occupano di violenza di genere tra quelli che continueranno a essere operativi, anche durante il lock down, per “garantire l’emanazione di ordini di protezione e di eventuali misure precauzionali in materia di violenza contro donne e minori”. La chiusura in casa hanno reso difficile per molte donne fuggire dai propri violentatori e ha scoraggiato molte di loro dal denunciarli. Anche in Italia. A confermarlo il procuratore aggiunto Maria Letizia Mannella, capo del pool fasce deboli di Milano: “Dopo le 20 di sera c’è poca gente in strada e questo è rischioso”. “La convivenza forzata con i compagni, mariti e con i figli, in questo periodo, scoraggiano le donne dal telefonare o recarsi personalmente dalle forze dell’ordine”.
Per capire quanto sia pericoloso tutto ciò basti pensare che in Italia nel 2019 l’81,2 per cento dei femminicidi è avvenuto all’interno della famiglia.
In Tunisia la situazione è più grave. Nonostante sia in assoluto il paese con la legislazione più avanzata in materia tra i paesi arabi e maghrebini, dalle statistiche emerge che una donna su due (47,6%) è stata aggredita fisicamente o moralmente almeno una volta nella vita. E oltre il 70% delle donne aggredite ha dichiarato di non sapere dove denunciare i fatti o se è opportuno farlo (dati OMS).
Secondo l’OMS, circa 1 su 3 (35%) delle donne in tutto il mondo ha subito violenze fisiche e/o sessuali da parte di partner intimi o violenza sessuale da “non partner” durante la propria vita. A livello globale il 38% degli omicidi di donne è commesso da un partner intimo. E, sempre secondo l’OMS, situazioni di conflitto, post conflitto o isolamento (come quello in atto a causa del corona virus) possono esacerbare le violenze, sia da parte dei partner che dei “non partner”. In modo particolare contro le donne.