Tunisia: e se fosse Ennahda a garantire diritti e libertà? Intervista all’avvocato e politico Habib Chelbi

di Enrico Oliari e Saber Yakoubi –

“E’ impossibile immaginare il successo di una rivoluzione senza che questa comporti una Giustizia libera ed indipendente”: questo è il motto emerso in occasione dell’incontro dell’associazione dei magistrati tunisini riunitasi di recente, dopo anni, in un paese dove ancora si è alla ricerca di raccomandazioni e di ‘buone parole’ per arrivare ad un grado di giudizio. “Uno dei punti trattati è stata la richiesta di Amnesty International, rivolta ai paesi uscenti dalle rivoluzioni della Primavera Araba, di riconoscere i diritti dell’Uomo, come la libertà di culto, i diritti delle persone omosessuali, l’abolizione della pena di morte e l’emancipazione della donna, benché almeno in quest’ultimo caso la Tunisia sia un paese all’avanguardia”, ha spiegato a Notizie Geopolitiche il professore ed avvocato Habib Chelbi, di Susa (Sousse), membro dell’ufficio regionale del partito Ennahda.
– Tuttavia in Europa c’è chi si preoccupa per l’ascesa al potere di un partito islamico come Ennahda e per la conseguente perdita di laicità del paese. Ci aiuti a fare chiarezza: Ennahda vorrebbe uno stato teocratico o democratico?
“E’ proprio perché gli stati del Vecchio continente hanno conosciuto per primi la democrazia e sanno prendere in considerazione la volontà popolare che dovrebbero vedere con favore la rivoluzione tunisina e quelle arabe in generale: sono state promosse in nome della libertà, contro l’oppressione, contro le ingiustizie e quindi per realizzare forme di governo democratiche. Il 23 ottobre scorso vi sono state libere elezioni, le quali hanno visto una partecipazione popolare senza precedenti… elezioni che il nostro movimento ha stravinto in un modo del tutto democratico e trasparente. Ed è solo attraverso la via democratica che è possibile costruire la società dei diritti e dei doveri: come fa, quindi, l’Europa, a nutrire delle preoccupazioni nei nostri confronti se siamo noi i primi a volere questo?”.
– Difatti Ennahda ha candidato delle donne, per di più senza velo, anche la cosa è stata letta come una forma di propaganda elettorale…
“Non diciamo sciocchezze. La nostra è stata una scelta di principio, del tutto essenziale, direi. La donna rappresenta la metà della società, mentre l’altra metà viene a sua volta educata da lei. La donna tunisina è una persona colta, intelligente, per cui è scontata la sua partecipazione alla vita politica del paese ed io sono convinto che arriverà sempre più ad assumere importanza e peso nelle decisioni. In merito alle perplessità che Lei ha espresso, Le faccio notare che su 49 donne presenti nell’Assemblea costituente, ben 42 sono di Ennahda”.
– Lei, oltre che ad aver aderito a Ennahda, è anche militante di Amnesty International: non vi è contraddizione fra le due partecipazioni?
“Io sono fiero di appartenere ad entrambe le organizzazioni e non vi vedo alcuna contraddizione. Amnesty International ha sempre lottato per le libertà e per i diritti ed io vorrò essere la sua voce in Ennahda. Lo stesso programma del movimento si muove su un binario parallelo a quello di Amnesty International”.
– Che priorità ha individuato Ennahda fra i mille problemi che affliggono la Tunisia?
“Abbiamo problemi sia di carattere sociale che economico, prima di tutto la povertà e la disoccupazione, le quali hanno spinto tanti giovani ad attraversare il mare sui ‘barconi della morte’, diretti verso nord; disoccupazione e povertà sono anche alla base dell’aumento del tasso di delinquenza e privano i cittadini della dignità. Lavoreremo quindi con lo scopo di combattere queste due piaghe sociali puntando ad uno sviluppo omogeneo ed a una distribuzione equilibrata della ricchezza fra tutte le regioni, non sono quelle della costa come si faceva nei tempi passati”.
– Con quali paesi dell’Unione europea Ennahda vorrebbe stringere relazioni o legami più stretti?
“Quando ero bambino ero un boy scout e, fra le cose che ho imparato, vi è che il boy scout è amico di tutti. Questo vale anche per l’uomo di Ennahda: noi vorremmo che le nostre relazioni con i paesi dell’Unione europea siano basate sul rispetto reciproco, sulla collaborazione, sul – mi passi il termine – ‘consociativismo’. Se però devo proprio esprimere un mio parere, vorrei che Ennahda riservasse un rapporto particolare all’Italia e con il suo popolo: non è vero che il nostro interlocutore tradizionale e naturale è la Francia, bensì è l’Italia. Non solo, ovviamente, perché ad El Jam è tutt’ora in piedi un Colosseo come quello di Roma, ma perché il nostro partito spinge per un sistema politico parlamentare e non presidenziale come quello francese. Vi è poi la vicinanza geografica che ci permetterebbe di sviluppare ponti commerciali sempre più intensi e, mi lasci dire dal momento che sono un uomo di legge, il fascino del diritto romano”.
– Recentemente ad una manifestazione pubblica di Ennahda era presente quale ospite Huda Naim, una donna deputato di Hamas: sulla questione palestinese siete per la linea di ‘due popoli, due stati’ o per la strategia del ‘con una mano si costruisce e con l’altra si combatte’?
“Io penso che la politica non sia fatta di forme pronte, quindi rispondo che non credo ne’ in una strategia, ne’ nell’altra. Per prima cosa Israele deve mettere fine all’embargo verso Gaza e fermare la colonizzazione dei Territori occupati secondo quanto stabilito dall’Onu. Solo dopo che questo sarà avvenuto, sarà arrivato il momento di cercare delle soluzioni. Se devo guardare il comportamento attuale di Israele nei confronti dei palestinesi, direi di essere pienamente concorde con il desiderio del nostro elettorato di non avere alcun legame con Tel Aviv”.
– L’Algeria sta facendo i conti con la presenza ingombrante di Al Qaida. Teme che il fenomeno possa trasferirsi in Tunisia?
“Ovviamente temiamo la presenza di Al Qaida in Tunisia, in primo luogo perché noi condanniamo ogni genere di violenza e quindi il terrorismo in tutte le sue forme: noi crediamo con convinzione nella pace e lavoreremo sempre affinchè l’estremismo di Al Qaida non attecchisca in Tunisia.La prevenzione delle ideologie estremiste si fa fondendo la cultura della tolleranza a quella della convivenza, ovvero combattendo la disuguaglianza sociale. Di certo se Al Qaida penserà di colpire il nostro popolo o il nostro turismo, noi la sapremo affrontare senza indugio”.

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