Turchia. Continua l’ondata repressiva di Erdogan

di Giuseppe Gagliano

Nel cuore della Turchia si consuma una nuova stretta autoritaria. A una settimana dall’arresto di Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul e principale rivale politico del presidente Recep Tayyip Erdogan, il Paese è attraversato da un’ondata repressiva che ha già portato all’arresto di quasi 1.900 persone, tra studenti, giornalisti, attivisti e semplici cittadini scesi in piazza per difendere quel che resta della democrazia turca.
Le accuse contro Imamoglu, corruzione, sostegno al terrorismo, irregolarità negli appalti, appaiono come una fotocopia di un copione già visto: eliminare per via giudiziaria qualsiasi figura politica in grado di contendere il potere all’uomo forte di Ankara. Poco prima dell’arresto, a Imamoglu era stata revocata anche la laurea, pretesto legale per impedirne la candidatura alle presidenziali del 2028. Un passaggio chiave, che trasforma la giustizia in uno strumento disciplinare al servizio del potere.
Non è la prima volta. Erdogan, ormai al potere da oltre vent’anni, ha progressivamente demolito le garanzie dello Stato di diritto, trasformando la Turchia in una democrazia solo di facciata. Il potere giudiziario è subordinato, i media indipendenti sono stati silenziati, le università controllate. Dopo il tentato golpe del 2016, il Paese è entrato in uno stato d’eccezione permanente, con arresti di massa, purghe amministrative e repressione sistematica di ogni forma di dissenso.
Il caso Imamoglu è solo l’ultimo tassello di un mosaico sempre più cupo. Per Erdogan, l’opposizione rappresenta non un avversario politico, ma una minaccia esistenziale. E ogni minaccia va neutralizzata prima che diventi pericolosa.
Mentre la magistratura fabbrica accuse, la polizia agisce sul terreno. Le immagini provenienti da Ankara e Istanbul ricordano quelle di un regime militare: cannoni ad acqua, lacrimogeni, proiettili di gomma. Studenti dell’Università Tecnica del Medio Oriente sono stati dispersi con la forza per aver osato leggere una dichiarazione pubblica. Alcuni si sono difesi con i cassonetti, come scudi improvvisati. Altri sono stati arrestati in piena notte.
Sette giornalisti, tra cui un fotoreporter dell’AFP, sono stati prelevati dalle loro abitazioni all’alba, accusati di “aver partecipato a manifestazioni non autorizzate” e di “non aver obbedito agli ordini della polizia”. Il canale televisivo d’opposizione Sozcu è stato oscurato per dieci giorni, colpevole di “istigazione all’odio”.
Anche il mondo digitale non è più libero: la piattaforma X ha ricevuto ordini di censura su oltre 100 account turchi, mentre utenti accusati di “aver creato panico” con post critici sono finiti in cella. È un sistema ben oliato, dove la polizia reprime, la giustizia giustifica, e i media governativi costruiscono la narrazione.
La reazione dell’Unione Europea è stata ancora una volta timida e burocratica. Un portavoce della Commissione ha “deplorato” gli arresti e la censura. Parole vuote, che rimbalzano senza effetto su un regime abituato all’impunità. Ankara, nonostante tutto, resta un partner chiave nella gestione dei flussi migratori e un membro della NATO di vitale importanza per le strategie occidentali nel Mediterraneo e in Medio Oriente. E così, mentre la Turchia affonda nei suoi abissi autoritari, Bruxelles preferisce guardare altrove.
L’arresto di Imamoglu segna una soglia. Non solo per il numero di arresti o per la brutalità della repressione, ma perché mostra con chiarezza come Erdogan stia trasformando la Turchia in un laboratorio di autocrazia postmoderna: elezioni regolari ma truccate, opposizione legale ma perseguitata, libertà formali ma negate nei fatti. Una democrazia di carta, costruita per fingere pluralismo ma governata con pugno di ferro.
Il prossimo obiettivo, lo sanno tutti, è il 2028. Erdogan vuole assicurarsi un’altra vittoria, possibilmente senza avversari credibili. Imamoglu era troppo popolare, troppo efficace, troppo pericoloso. Per questo andava fermato adesso. Perché nella Turchia di Erdogan, non c’è spazio per chi non si piega.