Turchia. Donne curde con profondi danni psicologici per le violenze della repressione armata

di Shorsh Surme

L’organizzazione Migration Monitoring ha pubblicato il rapporto annuale sulla condizione delle donne curde nel Kurdistan della Turchia, ovvero di come sono state sottoposte alla violenze, minacce e abusi da parte delle forze di sicurezza turche, le quali, stando al rapporto, hanno negato loro l’accesso alle cure mediche per i lunghi periodi di coprifuoco nel sud-est della Turchia.
Il periodo in cui più si sono svolte tali violenze va dalla fine del 2015 all’inizio del 2016, ed alle vittime sono rimaste spesso profonde ferite psicologiche, come viene sottolineato nel rapporto dell’organizzazione con sede a Istanbul.
Alla fine del 2015 sono cominciati feroci combattimenti anche nelle zone urbane nel Kurdistan turco, quando il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) aveva dichiarato l’autogestione di alcune zone e la sua ala giovanile aveva eretto barricate per fermare le truppe turche. L’esercito aveva risposto bombardando le aree con carri armati nonostante la presenza dei civili, ed inviando forze speciali per schiacciare l’insurrezione.
Per l’inchiesta di Migration Monitoring sono state interviste più di 480 donne curde, ed il rapporto disegna un quadro drammatico che vede tutte le intervistate accusare lo stato Turco.
Ayfer è una ragazza curda di 31 anni, della città di Cizre. Ha raccontato che “Non potevamo uscire durante il coprifuoco. Siamo rimasti nel seminterrato per tre mesi. Eravamo sette famiglie, eravamo affamati e assetati. C’erano molte persone malate tra di noi. Non abbiamo potuto né andare in ospedale, né acquistare i medicinali”.
Ancora oggi, dopo tre anni da quei drammatici fatti , molte donne curde convivono con profondi problemi psicologici, tra cui la depressione e lo stress post-traumatico. Alcune vedono ancora corpi morti sul terreno e si rifiutano di lasciare le loro case, e molte di loro non sono in grado di gestire il trauma subito grazie al governo “democratico” turco, membro della Nato e membro del Consiglio d’Europa.