Turchia. Dopo 8 anni Ocalan ha potuto incontrare i suoi avvocati

di Gianni Sartori

Dopo ben otto anni di reclusione il leader curdo del Pkk Abdullah Ocalan ha potuto incontrare per un’ora i suoi avvocati nell’isola-prigione di Imrali.
Un avvenimento che è sicuramente dovuto all’estenuante sciopero della fame avviato dall’esponente di HDP Leyla Guven l’8 novembre 2018 e condotto ormai da oltre settemila prigionieri politici curdi e da centinaia di sostenitori. In gennaio, sempre in risposta allo sciopero della fame, Ocalan aveva potuto incontrare, ma solo per pochi minuti, il fratello, dopo due anni di isolamento totale.
Nella conferenza stampa tenutasi a Istanbul presso l’hotel Taksim Hill, gli avvocati Hamili Yıldırım, Abdullah Ocalan, Omer Hayri Konar e Veysi Aktas hanno riportato una dichiarazione del leader curdo in cui si auspica la ripresa dei negoziati di pace. Quanto allo sciopero della fame in corso, Ocalan ha chiesto di evitare ogni perdita di vite umane.
Dal 27 luglio 2011 questa è la prima volta che al leader curdo viene concesso di incontrare i suoi difensori. Da allora questi avevano deposto ben 810 domande per poterlo vedere.
Nel comunicato degli avvocati si auspica una soluzione politica attraverso un “metodo di negoziazione democratica lontano da ogni polarizzazione e da ogni cultura del conflitto “, per arrivare a una “profonda riconciliazione sociale”.
“Possiamo risolvere i problemi in Turchia, così come in tutta la regione, a cominciare dalla guerra (…) con l’intelligenza, la politica e la cultura al posto della violenza fisica”, hanno riportato i legali.
Per quanto riguarda la Siria gli avvocati ritengono che “attraverso l’intermediazione delle Forze democratiche siriane (FDS) tutti dovrebbero sforzarsi di risolvere i problemi astenendosi dalla cultura del conflitto nella prospettiva di una democrazia locale garantita dalla Costituzione nel quadro dell’unità del paese. E in quanto tale, l’opinione della Turchia dovrebbe essere presa in considerazione”.
In merito ai militanti prigionieri in sciopero della fame, “con tutto il rispetto dovuto alla resistenza degli amici dentro e fuori dalle prigioni, noi vorremmo sottolineare che non devono arrivare a metter in pericolo la loro salute o a morire. Per noi la salute mentale, fisica e spirituale viene prima di tutto”.
In sostanza occorre “approfondire e chiarire il metodo adottato nella dichiarazione del Newroz 2013 e proseguire su questa strada”, per arrivare a “una pace degna e a una soluzione politica democratica”.