Turchia. Hasankeyf definitivamente sommersa

di Gianni Sartori

Hasankeyf di fatto non esiste più. Quella che era stata definita un “gioiello dell’umanità”, già definita nel 1981 dalla stessa Turchia “zona di conservazione naturale” e che l’Unesco avrebbe dovuto inserire nella sua lista dei luoghi da proteggere, è definitivamente e completamente scomparsa alla vista, sommersa per l’allagamento della diga Ilisu sul fiume Tigri. Si tratta, o meglio si trattava, di una città le cui origini si perdono nella notte del tempo, si calcola circa 12mila anni. Tra le popolazioni che vi hanno abitato vanno citati Sumeri, Assiri, Babilonesi, Omayyadi, Bizantini, Abbasidi, Curdi. E almeno una ventina di altre culture vi avevano lasciato tracce significative. Un ecocidio combinato con un etnocidio. Sono, anzi erano, circa 5mila le grotte e oltre 300 i tumuli di cui non si potranno più svelare i segreti archeologici.
Inoltre le acque hanno inghiottito anche circa 200 villaggi curdi e decine di migliaia di persone hanno dovuto lasciare la terra in cui vivevano da millenni, denominata dai curdi Bakur, sotto amministrazione turca.
Tra gli effetti collaterali vi è l’inaridimento delle paludi nel sud dell’Iraq: una ennesima catastrofe ambientale in un’area già duramente colpita dai cambiamenti climatici e dalla siccità. Il controllo delle ingenti risorse idriche delle acque del Tigri consentirebbe alla Turchia di ricattare in ogni momento l’Iraq. Non a caso la diga era stata definita anche “un’arma da guerra non convenzionale”. Il problema quindi non è solo dei curdi, ma anche degli arabi iracheni.