Turchia. Il calvario del prigioniero politico Mustafa Kocak

di Gianni Sartori

Condannato all’ergastolo in base alla discutibile testimonianza di un informatore della polizia, il prigioniero politico Mustafa Kocak iniziava il 3 luglio 2019 uno sciopero della fame a oltranza. Rinchiuso nel carcere di isolamento di tipo F di Sakran, vicino a Smirne, il 28enne è stato condannato l’11 luglio 2019 per il sequestro condotto da due militanti della sinistra rivoluzionaria turca (Safak Yayla e Bahtiyar Dogruyol) nei confronti del procuratore Mehmed Selim Kiraz a Istanbul (31 marzo 2015). Kocak è accusato di aver fornito le armi per l’azione conclusasi con la morte dei due militanti e del magistrato, questa presumibilmente per “fuoco amico”, in seguito al raid delle squadre speciali della polizia.
Mehmed Kiraz stava indagando sull’assassinio di Berkin Elvan, un 15enne che aveva partecipato alle proteste di Gezi Park dell’estate 2013. Colpito alla testa da un lacrimogeno (6 giugno 2013) mentre andava a comprare il pane, Berkin era morto dopo 269 giorni di coma, l’11 marzo 2014. I due rivoluzionari responsabili avevano richiesto, peraltro invano, alle autorità di rivelare i nomi degli agenti responsabili per portarli di fronte alla Corte del Popolo di Istanbul.
Subito dopo la tragica conclusione prendeva il via una vasta campagna di arresti anche nei confronti di decine di persone che non avevano nulla a che fare con il sequestro. Incriminati in 14 (4 in custodia permanente, gli altri ricercati), il processo veniva condotto dalla 27ma Corte d’Assise del Tribunale distrettuale di Istanbul e, secondo l’opposizione di sinistra, “in violazione di tutti gli standard legali e morali”.
L’11 luglio 2019 cinque di loro venivano condannati a pesanti pene in quanto, stando alle accuse, potrebbero aver contribuito all’azione del 31 marzo 2015. Per Mustafa Kocak e per l’avvocato Murat Canim la condanna era all’ergastolo per “Violazione dell’ordine costituzionale”. Da parte sua Kocak, entrato in sciopero della fame il 3 luglio 2019, dal 30 settembre 2019 lo trasformava in sciopero della fame fino alla morte. Ovviamente l’intenzione non era quella di morire, ma di contrastare l’ingiustizia con quella che per un prigioniero diventa spesso l’unica forma possibile di protesta e resistenza.
In tutti questi 8 mesi Mustafa Kocak ha conosciuto anche la solidarietà di tante persone, sia dei familiari, sia del Fronte del popolo, che hanno organizzato manifestazioni in Turchia e in Europa per far conoscere all’opinione pubblica l’insostenibile situazione carceraria del paese.
Zeynep Kocak, madre del prigioniero, intervenendo in una conferenza stampa presso l’ufficio dell’Associazione degli Avvocati progressisti (Istanbul, 10 agosto 2019) ha dichiarato di essere “pronta a fare di tutto per mio figlio. Mio figlio è in sciopero della fame per tutti i prigionieri politici. Mio figlio è innocente”.
Ugualmente il padre di Mustafa, Hasan Kocak, ha definito l’intero processo come “una serie di ingiustizie”, aggiungendo che “mentre era sotto custodia, mio figlio è stato torturato, gli è stato messo un bidone della spazzatura sulla testa ed è stato colpito dalla polizia. Sua sorella incinta è stata minacciata di stupro dalla polizia. Noi sosteniamo le richieste di nostro figlio”.
Il 28 agosto 2019 i genitori di Mustafa Kocak hanno condotto un’azione di protesta in piazza Taksim (icona delle proteste e rivolte contro il regime), nel centro di Istanbul, indossando simbolicamente dei sudari, tenendo tra le mani una foto del figlio e un cartello che diceva “Mio figlio sta morendo a causa dell’ingiustizia”.
Poco dopo l’inizio della protesta i genitori del prigioniero politico venivano fermati dalla polizia e portati al dipartimento di polizia del distretto di Beyoglu. Nella loro testimonianza spiegavano di aver “tenuto questa protesta per nostro figlio, Mustafa Kocak. Vogliamo un processo equo. Con la nostra azione non abbiamo altri obiettivi”.

Queste le dichiarazioni di Kocak e le sue richieste:
-I tribunali non sono uno strumento di lotta politica. I tribunali speciali devono essere chiusi!
-Non vogliamo una società di informatori. Leggi che incoraggino a diventare informatori della polizia sono da abolire!
-La tortura è un crimine contro l’umanità. Agenti di polizia del Dipartimento di Polizia di Istanbul, che praticano vari metodi di tortura devono essere identificati e processati!
-La testimonianza di un testimone di nome Cavit Yilmaz, che, nella sua domanda alla corte, ha dichiarato di averla resa durante le indagini e il processo preliminare, sotto pressione, minacce, ricatti, torture psicologiche e fisiche contro di lui, non può essere usata come prova di condanna. Cavit Yilmaz deve essere ascoltato di nuovo dal tribunale!
-La mia condanna illegale è da annullare. Un nuovo processo equo deve iniziare!
-Mettere fine alla mia illegittima e ingiusta prigionia. Insisto per essere rilasciato!
-Mettere fine alle ingiustizie che io e tutta la gente stiamo affrontando. Voglio giustizia!

Recentemente l’amministrazione del carcere di Sakran (isolamento di tipo F) lo ha minacciato di “intervento medico in caso di perdita di conoscenza”, ossia di sottoporlo ad alimentazione forzata. Considerata “una forma di tortura” da Amnesty International, l’alimentazione forzata rappresenta una concreta minaccia alla salute e alla stessa vita dei militanti in sciopero della fame
Interventi medici come l’infusione di sostanze nutritive e medicinali avvengono con violenza attraverso una sonda nello stomaco.
A causa di interventi del genere tra il 2000 e il 2007 (sciopero della fame fino alla morte contro le carceri di isolamento) in Turchia molti prigionieri politici hanno perso completamente la memoria, si sono ammalati della sindrome di Wernicke-Korsakov e alcuni sono stati letteralmente uccisi.