Turchia. Si uccide in carcere Zulkuf Gezen, miliziano del Pkk in sciopero della fame

di Gianni Sartori

Dalle ultime informazioni sembra che il prigioniero politico curdo Zulkuf Gezen, in sciopero della fame dal 1 marzo, abbia voluto darsi volontariamente la morte nella prigione turca di Tekirdag dove era rinchiuso in una cella di tipo “F”. Una protesta, la sua, sia contro il mantenimento dell’isolamento per Ocalan, e di tanti altri, tra cui anche prigionieri in sciopero della fame che sembrano praticamente “scomparsi”, sia contro il silenzio che incombe sulla lotta estrema di migliaia (circa 7mila, molti dei quali in situazioni critiche) di prigionieri e militanti curdo-turchi.
Membro del Pkk, Gezen era stato condannato all’ergastolo dodici anni fa. La sua decisione di darsi la morte per impiccagione è la conseguenza della da lui denunciata mancanza di umanità e delle sofferenze a cui sono costretti i prigionieri curdi vivono nelle prigioni turche, nell’inerzia di cui stanno dando prova il Consiglio d’Europa e il suo Comitato per la prevenzione della tortura (CPT), il cui compito sarebbe proprio quello di far rispettare i diritti dei prigionieri.
Iniziato dalla deputata Leyla Guven ormai 131 giorni fa, lo sciopero della fame viene portato avanti oltre che dai detenuti anche da un centinaio di attivisti, militanti, membri di associazioni e deputati curdi. Sia in Kurdistan che in Europa di cui 14 a Strasburgo, al 92mo giorno.
La richiesta dovrebbe ormai essere nota all’opinione pubblica e alle istituzioni internazionali: la fine dell’isolamento per Abdullah Ocalan e la ripresa delle trattative tra Stato turco e PKK per individuare una via d’uscita degna, una soluzione politica per il conflitto.
Come si legge in un comunicato “ogni minuto in più che trascorre è diventato cruciale. Occorre agire e agire in fretta per evitare altre morti”. Infatti decine e decine di militanti in sciopero della fame hanno superato da diversi giorni quella che viene considerata la soglia critica. Dopo di cui c’è solo la morte o conseguenze irreparabili a livello sia fisico che psichico.
Vorrà la vecchia Europa rimanere ancora indifferente e, come nel 1981 con quella dei prigionieri irlandesi, avere sulla coscienza anche la vita di questi militanti?