Uccisione Soleimani: l’Iran esce dall’accordo sul nucleare

di Enrico Oliari

La controversa iniziativa del presidente Usa Donald Trump di uccidere venerdì scorso con un raid il noto generale iraniano Qassem Soleimani, capo della brigata d’élite al-Quds dei Pasdaran, Abu Mahdi al-Muhandis, leader della principale milizia sciita irachena Hashd al-Shaabi, ed altri si sta traducendo in una serie di risposte che va ben oltre lo scambio di minacce, con il rischio sempre più concreto di un’escalation dagli esiti imprevedibili.
Dopo la protesta iraniana alle Nazioni Unite e il voto del Parlamento iracheno di allontanare dal paese i militari della coalizione anti-Isis a guida Usa, Teheran ha annunciato la decisione di uscire definitivamente dall’accordo sul nucleare iraniano (Jpcoa), sottoscritto nel 2015 da Barak Obama e dai rappresentanti di Russia, Francia, Gb, Cina + Germania (Ue), e di procedere all’arricchimento dell’uranio “senza restrizioni, in base alle sue esigenze tecniche”.
Gli Usa hanno lasciato il Jpcoa già lo scorso anno e reintrodotto le sanzioni alla Repubblica Islamica, per di più obbligando i paesi alleati a non acquistare idrocarburi dall’Iran, ma da allora l’Iran ha mostrato un atteggiamento prudente avviando sì la terza fase di arricchimento dell’uranio attraverso l’immissione di gas dello stesso minerale nelle due nuove centrifughe avanzate, la 20 Ir4 e la 20 Ir6, ma di fatto producendo combustibile ad uso civile per la propria centrale nucleare di Busher.
Lo stesso portavoce dell’agenzia atomica iraniana, Behrouz Kamalvandi, aveva fatto intendere che si sarebbe trattato di un’iniziativa più a scopo dimostrativo al fine di ottenere un maggiore impegno degli altri firmatari dell’accordo, ed aveva parlato di “passi reversibili, se le altre parti manterranno le promesse”.
Che Trump cerchi il casus belli è cosa palese, dal momento che gli Usa sono militarmente presenti dal Marocco al Kirghizistan secondo una linea orizzontale, e fino a poco fa erano cinque i paesi che non avevano militari americani sul proprio territorio, cioè Iraq (guerra), Afghanistan (guerra), Libia (guerra), Siria (guerra, ma lì si è messa di traverso la Russia) e appunto Iran, paese popoloso e complesso sotto ogni profilo. Il rischio è tuttavia che si inneschi una reazione a catena, con già minacce verso Israele accusato, a torto o a ragione, di alimentare attraverso le proprie lobby sioniste negli Usa la politica anti-iraniana della Casa Bianca.
Molto di più potrà fare per la de-escalation l’eventuale cambio di guardia alla Casa Bianca: le elezioni presidenziali sono previste per il 3 novembre 2020, e Trump deve ora scontare l’effetto delle contro-sanzioni cinesi e soprattutto l’impeachment intentato verso di lui alla Camera.