Ucraina. Ancora stallo sulla crisi

di Marco Corno

Il vertice di Ginevra sulla crisi ucraina del 21 gennaio si è concluso con un nulla di fatto tra USA e Russia, se non la riaffermazione delle rispettive posizioni politiche delle due super potenze. Entrambe hanno ribadito il mantenimento di un dialogo aperto, che non è però automaticamente sinonimo di pace. La militarizzazione dell’Europa orientale da parte sia di Washington che di Mosca, con la prima che invia armi a Kiev e autorizza gli alleati baltici a fare altrettanto e la seconda che continua ad ammassare truppe e armamenti in Bielorussa e al confine ucraino, rafforzano da ambo le parti le rispettive posizioni e rendono il dialogo sempre più complicato, per quanto non impossibile. La risposta scritta da parte degli USA alle richieste russe sono un segnale di distensione malgrado le divergenze rimangano ancora molte.
Le parole del presidente Joe Biden, anche se fortemente criticate, sono il risultato di una visione realista da parte dell’inquilino della Casa Bianca: Washington non vuole impegnarsi direttamente in uno scontro armato contro Mosca a fianco dell’Ucraina e si “limita” a minacciare gravi sanzioni economiche ai danni della Russia, qualora Mosca dovesse compiere un blitz militare nell’ex repubblica sovietica. Emerge la volontà americana di riconoscere ai russi lo status di potenza europea e di negoziare con essa una spartizione di influenza dell’est europeo (magari lungo il fiume Dnepr che attraversa l’Ucraina da nord a sud e la divide in due parti uguali). Scelta che è tutt’altro che consolidata all’interno delle istituzioni americane, dato che una concessione troppo larga degli Stati Uniti alla Russia ne danneggerebbe l’immagine di intransigente potenza egemone: il nemico cinese potrebbe approfittarne con Taiwan.
Gli USA attraversano un momento molto difficile internamente a causa delle forti spaccature ideologiche e sociali della società, accentuate dagli effetti del covid-19 e dall’inflazione economica. Putin, consapevole di tale debolezza, preme sull’occidente nel tentativo di ottenere garanzie sul non allargamento della NATO all’Ucraina e alla Georgia, considerata dall’intellingencija russa uno degli scenari geopolitici peggiori per la sicurezza nazionale.
Mosca questa volta è determinata più che mai a risolvere il problema: l’intervento rapido russo in Kazakistan è una lapalissiana prova di come il nuovo zar non accetti destabilizzazioni ai propri confini e allo stesso tempo di come intenda concentrare tutte le forze diplomatiche e militari sull’ex spazio sovietico europeo. La crisi energetica causata dall’innalzamento del prezzo del gas è un atout utilizzato dalla Russia per fare pressione sugli stati dell’Europa occidentale, accentuare le divisioni all’interno del fronte europeo e costringere paesi come l’Italia, la Germania e la Francia ad adottare una politica estera più filorussa proprio in ragione degli enormi interessi energetici in comune, senza tuttavia esasperare le relazioni diplomatiche: la conferenza di Putin insieme ad alcune imprese italiane e la telefonata con Mario Draghi hanno l’obbiettivo di attenuare la tensione, avvicinare diplomaticamente Roma a Mosca e proporla insieme a Parigi come mediatrice nella diatriba con Washington.
La crisi è ancora lontana da una soluzione definitiva e l’impasse resta molto precario. Nonostante ciò Stati Uniti e Russia dialogano ma il rischio che la situazione sfugga al controllo rimane sempre molto alto.