Ucraina. Colloqui difficili, ma procedono. Zelensky rinuncia alla Nato

di Guido Keller

Procedono con difficoltà i colloqui tra le delegazioni russa ed ucraina, accompagnati parallelamente da contatti ufficiosi tra le varie cancellerie. Per il capo negoziatore ucraino Mykhailo Podolyak è essenziale che i russi si ritirino dall’Ucraina e sia attuato il cessate-il-fuoco, condizioni necessarie per affrontare i temi politico-regionali sullo status di Lugansk e di Donetsk, regioni a maggioranza russofona autoproclamatesi repubbliche e prontamente riconosciute dalla Russia.
Già gli accordi di Minsk-2 impegnavano all’articolo 11 Kiev a riconoscere le autonomie delle due regioni, ed il fatto che ciò non sia mai avvenuto e che per 8 anni sia continuata la guerra, specialmente ad opera dei neonazisti dichiarati del Battaglione Azov, è uno dei temi che il presidente russo Vladimir Putin ha messo alla base dell’aggressione militare.
Cauto ottimismo è stato invece espresso da Ihor Zhovkva, vice capo dell’ufficio presidenziale ucraino: intervistato per la Bbc ha spiegato che “c’è stato un cambio di atteggiamento da parte di Mosca. Prima arrivavano ultimatum o richieste di arresa, ora sembra che per i negoziati vi siano atteggiamenti costruttivi”.
Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, pur riportando la difficoltà dei colloqui e la necessità di tempo per le trattative, ha parlato di “colloqui con la Russia più realistici”, d’altronde “tutte le guerre terminano con un accordo”. “C’è spazio – ha aggiunto – per individuare compromessi”.
Il punto centrale è l’entrata dell’Ucraina nella Nato, com’era stato stabilito al vertice di Bucarest del 2008: per la Russia è inaccettabile, perché la cosa rappresenterebbe una minaccia concreta alla sua sicurezza e comunque un forte elemento di pressione. Zelensky tuttavia ha detto ieri per la prima volta che “l’Ucraina non entrerà nella Nato. Per anni abbiamo sentito parlare di porte aperte, ma anche che non possiamo entrarci, e questo dobbiamo riconoscerlo”.
Come è avvenuto nei suoi numerosi interventi in videoconferenza nei parlamenti e nelle riunioni con l’occidente, Zelensky ha chiesto ai deputati canadesi la “no fly zone”, che la Nato continua a rifiutare perché significherebbe entrare in guerra con la Russia, ed alla riunione del Jeft, raggruppamento militare interforze a guida Gb che vede impegnate Norvegia, Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Islanda, Lituania e Olanda, si è lamentato del fatto che le armi procurate dall’occidente “durano per una ventina di ore, dopodiché riutilizziamo quelle prese ai russi”. Ha anche detto che “stiamo cercando di ottenere i caccia e i sistemi missilistici da difesa”.
Intanto la Russia si è vista recapitare dall’Ue la quarta lenzuolata di sanzioni, che colpiscono gli oligarchi, l’export dei beni di lusso a partire dai 300 euro, macchinari per l’estrazione e la raffinazione di energia e tecnologia varia, e l’import di acciaio e alluminio.
Con tutta probabilità Mosca metterà sul piatto delle trattative con l’occidente il rientro delle sanzioni e la vendita di idrocarburi.
Per il presidente russo Vladimir Putin, che si è sentito al telefono con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, “all’Ucraina non pare interessi in modo serio di trovare soluzioni multilaterali accettabili”.
Eppure la soluzione alla crisi deve per forza di cose passare dal compromesso, e questo si ottiene se entrambe le parti cedono qualcosa.

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