Ucraina. I russi quasi a Pokrovsk, mentre Kiev è costretta a mandare le élite nel Kursk per tenere le posizioni

Zelensky ha un "piano per la fine della guerra" da portare a Biden. Nel conflitto muoiono sempre più occidentali.

di Enrico Oliari

Fonti russe hanno riportato della disorganizzazione che alberga tra le forze ucraine nel fronte del Donbass, con ricambi tra le truppe che dovrebbero arrivare ogni tre o quattro giorni ma che non ci sono, cosa che obbliga chi combatte a tenere la posizione anche per tre settimane di seguito. Un comandante ha riportato la perdita di metà degli 800 uomini posti sotto il suo comando, e sempre più si registrano casi di diserzione, tanto che sono 19mila (ma il numero è per difetto) i procedimenti penali avviati quest’anno contro il personale militare che ha lasciato il proprio posto.

Intanto le forze russe continuano a premere per arrivare a Pokrovsk, centro logistico la cui caduta potrebbe far crollare il fronte ucraino meridionale: le difese di Kiev sembrano al momento tenere in particolare a Selidovo, dove si registrano intensi combattimenti che impediscono ai russi di passare dal terzo al secondo anello difensivo. Nelle ultime ore i russi sembrerebbero aver rinunciato alla strategia dell’attacco frontale spostandosi sui fianchi delle difese ucraine nelle aree di Tsukurino, Gornyak e Kurakhovka, mentre i comandi ucraini starebbero ammassando le riserve a Pokrovsk per difendere il nodo strategico.

Nel Kursk, la regione russa invasa ormai da qualche settimana dalle élite ucraine ben equipaggiate con le armi fornite dagli occidentali, la situazione è stabile, con gli ucraini che, nonostante le alte perdite (si parla di 9mila uccisi o feriti e di numeroso materiale distrutto) tentano ancora di procedere verso Korenevo, ma sono di fatto oggetto di una guerra di logoramento da parte dei russi che obbliga, al fine di mantenere le posizioni, al richiamo continuo di forze ucraine dal Donbass. Gli ucraini controllano un breve tratto della ferrovia presso il villaggio di Snagost, a circa 15 km a sud di Korenevo.

Che la situazione per gli ucraini sia difficile è cosa risaputa, ormai ne parlano apertamente anche la stampa e i leader occidentali, e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato al Forum Ambrosetti di Cernobbio di disporre di un piano per mettere fine alla guerra in Ucraina e di volerlo presentare al presidente Usa Joe Biden e ai candidati Kamala Harris e Donald Trump.
Che Zelensky debba portare il piano al suo “padrone” Joe Biden è una cosa del tutto comprensibile, visti i soldi e le armi arrivate da Washington, anche perché l’idea avviare una guerra per allontanare l’Ue dalla Russia e nel contempo arricchire i produttori di armi statunitensi, il tutto a scapito della povera Ucraina, è partita proprio dalla Casa Bianca. Zelensky ha precisato che il piano coinvolgerebbe gli Usa e lui vorrebbe evitare che trattative e accordi gli passino sopra la testa senza essere coinvolto, ma è probabile che l’idea di essere un alfiere e non una pedina dello scacchiere geopolitico sia del tutto autoreferenziale. A non essere interessato a un piano di pace, specie dopo la sortita di Kursk, è il presidente russo Vladimir Putin, escluso anche dal vertice per la pace svizzero di giugno: il Cremlino ha ricordato che è stato lo stesso Zelensky a far passare un decreto (dal Parlamento ucraino sono state escluse le opposizioni) volto a vietare (anche a se stesso) ogni contatto con i vertici russi finalizzati a proposte di pace.

Infine il quadro attuale vede il disastro di Poltava, dove il 3 settembre due missili ipersonici russi hanno distrutto il centro di formazione del 179mo raggruppamento ucraino. All’inizio gli ucraini e la stampa occidentale avevano urlato di vittime civili e bambini uccisi, ma poi si è scoperto (ed è stato ammesso) che l’obiettivo era militare, ma ancor più che ad essere rimasti uccisi o gravemente feriti erano “istruttori” o mercenari occidentali, tra cui svedesi, tedeschi e polacchi. Oltre 50 tra morti e feriti secondo le fonti ucraine, 500 secondo quelle russe, 760 stando alle testimonianze della gente del posto riprese dalla stampa russa. La struttura colpita era un centro per la formazione alla guerra elettronica (compresa la guida dei droni) e alle rilevazioni radar, un duro colpo per gli ucraini.
Il 4 settembre è stato colpito un centro di raggruppamento di mercenari stranieri a Krivoy Rog, dove le vittime sarebbero state oltre 250, e missili Iskander hanno centrato una base di combattenti a contratto stranieri a Konstantinovka, nel Donbass.
La russa Tass ha reso noto che un attacco del 2 settembre verso un hotel nella città di Zaporizhzhia ha portato alla morte di una cinquantina di 50 soldati ucraini, tra cui 19 mercenari provenienti dal Regno Unito.
E’ un dato di fatto che negli ultimi giorni si sta assistendo ad una specifica strategia dei comandi russi volta a colpire centri e raggruppamenti di mercenari e istruttori della Nato.

La portata dell’attacco di Poltava non è stata solo militare, e certamente da parte ucraina, occidentale e anche russa non è stato raccontato tutto. Fatto sta che il giorno successivo Zelensky ha licenziato alcuni comandanti e si è dimesso il ministro degli Esteri svedese Tobias Billstreom, uno degli artefici dell’allineamento alla Nato della Svezia dopo due secoli di neutralità.
Non si sa quanti svedesi siano morti a Poltava, dove l’industria svedese Saab aveva tecnici per istruire gli ucraini all’impiego di delicate apparecchiature tecnologiche, probabilmente radar per la guida da alta quota dei missili.

Secondo fonti russe sono complessivamente 6mila gli occidentali morti in Ucraina dall’inizio del conflitto.

Sul fronte diplomatico c’è da segnalare l’incontro, previsto a Mosca per dopodomani, tra il presidente russo Vladimir Putin e il consigliere del primo ministro indiano Modi per la Sicurezza, Ajit Doval, per discutere di un piano per la de-escalation della crisi ucraina.