Ucraina. I Ventisette la vogliono in Europa, senza se e senza ma

A pagare gli europei occidentali, quelli che avrebbero “lavorato di meno e guadagnato di più”.

di Enrico Oliari

Si è concluso a Versailles il vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea, riunione di due giorni indetta per discutere della crisi ucraina. Lodando nella dichiarazione congiunta “il popolo ucraino per il coraggio nel difendere il proprio paese e i nostri valori di libertà e democrzia”, i leader europei hanno ribadito l’intenzione di non “lasciare gli ucraini soli”, per cui “continueremo a fornire il nostro supporto politico, finanziario, materiale e umanitario”, nonché “ad aumentare le pressioni su Russia e Bielorussia”.
Oltre alle forniture all’Ucraina di armi, in corso da diversi paesi tra cui l’Italia, la presidnete della Commissione europeoa Ursula von der Leyen ha annunciato oggi la prima trash di 300 milioni di euro destinati a Kiev quale parte del miliardo e 200 milioni approvato nei giorni scorsi dal Parlamento europeo, denaro che si aggiunge ai 16 miliardi prestati dall’Unione Europea alla Repubblica d’Ucraina a partire dal 2014.
A Versailles Jofep Borrell, Alto rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza dell’Unione Europea (Pesc), ha chiesto altri 500 milioni di euro con lo scopo di raddoppiare i finanziamenti militari destinati all’Ucraina, paese che si dà già per aderente all’Unione Europea.
Infatti non solo Kiev ha chiesto di entrare a far parte della Famiglia comune, ma anche il Parlamento europeo si è espresso lo scorso 2 marzo a favore di quello che dovrebbe divenire il 28mo paese membro. Il testo è stato approvato con 637 voti a favore, 13 contro e 26 astensioni, e per quanto non vincolante, difficilmente sarebbe potuto essere ignorato dai leader europeo.
Difatti a Versailles i capi di Stato e di governo dei Ventisette hanno dichiarato che la richiesta di adesione dell’Ucraina è in fase di analisi, che sta seguendo un iter positivo in quanto “paese che appartiene alla nostra famiglia europea”, e che nel frattempo “rafforzeremo i legami e la nostra partnership”.
L’adesione dell’Ucraina all’Ue è data quindi per certa, tant’è che il premier sloveno Janez Jansa ha fatto capire che il problema non è il “se” ma il “quando”: “eravamo divisi tra una maggioranza che riteneva che il processo di adesione fosse una questione a lungo termine, ma il “messaggio politico” che si vuole dare è che “appartiene alla Famiglia europea”.
Servirà quindi tempo, e dovranno essere rispettati gli step, ma la cosa si farà.
Al di là dei proclami, la cosa non dovrebbe più di tanto importare a Mosca, dal momento che quello che preme, cioè il motivo centrale dell’aggressione militare, è che l’Ucraina non entri nella Nato, alleanza militare che di certo non ha fini pacifiti e che verrebbe a mettere basi al confine russo.
I leader europei si sono poi detti “pronti ad insistere sulla via delle sanzioni alla Russia”, strategia che sta portando il paese al default, nonchè tafazzicamente ad eliminare appena possibile la dipendenza da gas e petrolio russi.
Gli europei occidentali, quelli in pratica che con la costruzione dell’Ue avrebbero lavorato di meno e guadagnato di più, si ritroveranno per l’ennesima volta a finanziare con le loro tasse un paese economicamente sgangherato, con vetuste centrali nucleari e povero di infrastrutture, con un Pil pro capite di 2.800 euro e vasti giacimenti di carbone, inutilizzabile per la transazione energetica. Nella speranza che, come è successo con i Visegrad, l’Ucraina degli oligarchi e dei battaglioni di neonazisti, ben tollerati, non interpreti poi l’Europa à la carte, cioè buona solo quando c’è da prendere e cattiva quando si tratta di diritti civili e di giustizia.