Ucraina. Il jolly della Cina

La guerra tra Russia e Ucraina sta creando sconvolgimenti geopolitici che continueranno anche nei prossimi anni e condizioneranno il futuro del sud-est asiatico.

di Marco Corno *

La Cina in questa crisi cerca di tenere una posizione equidistante, che se da un lato la sciolga dall’accusa di co-belligeranza con i russi da parte degli USA, dall’altro non alteri le proprie relazioni tattiche con la Russia. La politica neo-bismarckiana adottata da Pechino dopo la fine della Guerra Fredda ha permesso all’Impero Celeste di tenere un basso profilo su tutti i principali dossier internazionali, permettendogli di mettere al centro delle relazioni internazionali unicamente gli interessi economici in comune con gli altri Stati, favorendo l’ascesa della Cina al rango di super potenza.
Adesso lo shock geopolitico generato dall’invasione russa dell’Ucraina mette sotto pressione, se non addirittura compromette, la posizione equidistante della Cina. Se il ritorno della guerra in Europa ha avuto il merito di scaricare temporaneamente le tensioni politiche lontano dai confini cinesi, allo stesso tempo la scelta americana di non intervenire direttamente nella guerra russo-ucraina allarma i vertici cinesi nel lungo periodo perché segnala che il rivale geo-strategico per gli USA nei prossimi decenni è la Cina, non la Russia, e l’area di competizione geopolitica per il balance of power tra le due super potenze è il Mar Cinese Meridionale e più in generale lo spazio Indo-Pacifico.
A questo si aggiunge anche l’assillo della “Corte dei mandarini” per la rapidità con cui alcuni Paesi filo americani del Sud-Est asiatico, come la Corea del Sud, il Giappone e la stessa Taiwan, hanno approvato sanzioni economiche ai danni della Russia, in particolare l’esclusione dal sistema dei pagamenti SWIFT, percepita dalla Cina come un messaggio indiretto di intransigenza verso le proprie ambizioni geopolitiche nella regione.
Inoltre lo scoppio della guerra in Europa sta causando in Asia il rafforzamento del contenimento americano della Cina e una nuova corsa agli armamenti che, a differenza di quelli europei, oltre ad essere convenzionale è anche nucleare. La Cina ha deciso di espandere e potenziare il proprio arsenale nucleare come arma di deterrenza nei confronti degli USA, mentre i membri dell’alleanza militare anglosassone dell’AUKUS (stipulata nel 2021 e composta da Stati Uniti, Regno Unito e Australia) si sono impegnati negli scorsi giorni a cooperare per lo sviluppo di missili supersonici in funzione anti-cinese, che è un quid pluris rispetto agli accordi originariamente pattuiti, focalizzati principalmente sulla fornitura all’Australia di sommergibili a propulsione nucleare.
Tali fatti rendono il sud-est asiatico uno scenario sempre più instabile e aumentano il rischio di escalation militare tra le due super potenze soprattutto nello Stretto di Taiwan.
In un momento storico così delicato, un ruolo decisivo per gli equilibri dell’Estremo Oriente lo avranno le relazioni tra Cina e Vaticano. Nel 2020 entrambi gli Stati hanno deciso di rinnovare per altri due anni, nonostante l’opposizione americana, l’accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi stipulato nel 2018. Quest’anno il trattato scade e le sue sorti, tenendo in considerazione anche la segretezza diplomatica tenuta da entrambe le parti riguardo il suo contenuto, sembrerebbero essere più incerte che mai, visto il contesto internazionale radicalmente mutato che complica un rapporto già di per sé difficile a causa dei precedenti storici non propriamente idilliaci.
Tuttavia entrambe le parti probabilmente avranno interesse a far proseguire l’accordo, se non addirittura ad implementarlo e/o “trasformarlo” in un vero e proprio concordato, e qualche segnale in questa direzione si è già manifestato nelle scorse settimane: l’incontro tra Jack Sullivan, Consigliere per la sicurezza nazionale americano, e Yang Jiechi, direttore della Commissione Esteri del PCC, avvenuto a Roma il 14 marzo per discutere ufficialmente della guerra russo-ucraina ha avuto anche il fine di mandare un messaggio politico di avvicinamento al Pontefice da parte di Pechino, quasi a segnalare l’intenzione di una ulteriore apertura diplomatica e politica. La Cina considera questa guerra anche un’opportunità per definire e rafforzare le proprie relazioni diplomatiche con la Santa Sede che è considerata un tassello fondamentale per spezzare il contenimento americano del Paese.
Xi Jinping potrebbe sperare che la mediazione cinese nel conflitto russo-ucraino possa garantire successivamente una mediazione di Papa Francesco in Asia al fine di risolvere la questione di Taiwan e raggiungere un compromesso che permetta a Pechino di estendere la propria influenza su Taipei pacificamente, pur riconoscendo e garantendo ampissimi margini di autonomia all’isola di Formosa.
Per quanto riguarda i rapporti sino-americani, la Santa Sede potrebbe mediare una demilitarizzazione tra i due Paesi e i rispettivi alleati, un obiettivo molto importante del pontificato di Papa Francesco che teme un conflitto nucleare in una regione dove si è già rischiata un’escalation atomica durante la guerra delle due coree (1950-1953) nel secolo scorso.
Quest’anno è un anno molto importante per i rapporti tra la Cina e il Vaticano. Entrambe le parti sono consapevoli che l’ordine internazionale è radicalmente mutato e che un’intesa è più che mai necessaria perché il 24 febbraio è iniziato il conto alla rovescia verso la Terza guerra mondiale, ma non a pezzi.

* Analista geopolitico.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.