Ucraina. Il realismo della diplomazia possibile nella guerra

Una nuova risoluzione Uniting for Peace e un "nucleo forte" di mediatori.

di Maurizio Delli Santi *

Gli scenari della guerra in Ucraina.
La guerra in Ucraina prosegue e le sue rappresentazioni alternano momenti di speranza per la resistenza ucraina a quelli più cupi per l’avanzata incessante dei russi, che non risparmiano i bombardamenti che coinvolgono anche ospedali e vittime civili, inclusi bambini. È quella che Clausewitz chiama “la nebbia della guerra”, ovvero l’incertezza in cui ancora non può delinearsi se la difesa – anche prolungata nel tempo, che costerà comunque sacrifici – avrà la capacità strutturale di sopraffare l’offesa, per annientarne la libertà d’azione. E non va dimenticata la minaccia della “deterrenza” nucleare lanciata da Putin.
Altri scenari, come quello di un collasso istituzionale della Russia o della destituzione di Putin – pure plausibili – non rispondono allo stato ad un principio di realtà, né garantiscono che un ribaltamento della leadership porti ad una definitiva cessazione della guerra. In questo contesto strategico, l’opzione di una risposta militare di sostegno all’Ucraina va calibrata con attenzione, come stanno ora facendo gli Stati Uniti e la Nato per evitare una “terza guerra mondiale”. C’è tuttavia da domandarsi se l’attuale sistema di aiuti militari diretti all’Ucraina sia sufficiente. Una analisi sul punto ci viene proposta su Foreign Affairs da Alexander Vindman, tenente colonnello dell’esercito americano nella riserva ed ex direttore per gli Affari europei presso il National Security Council (rif. America Must Do More to Help Ukraine Fight Russia. A lend-lease plan for the Ukrainian military, mars 2022).
Per l’analista, in sostanza, l’Ucraina non può resistere da sola, per cui Washington e i suoi alleati dovrebbero attuare un programma di lend-leasing modellato su quello fornito agli alleati dagli Stati Uniti in Europa durante la Seconda guerra mondiale, che includa sistemi di difesa aerea a medio e lungo raggio, altre armi anticarro (oltre ai Javelin, già forniti) con capacità di raggio esteso, sistemi di difesa costiera, artiglieria ad alta mobilità e UCAV di maggiore portata, con capacità aria-superficie e aria-aria, nonché jet da combattimento, come i MiG-29 e i Su-25 che Bulgaria, Polonia e Slovacchia avevano proposto di trasferire in Ucraina.
Lo scenario di Vindman sembra escludere l’ipotesi che il ricorso alla deterrenza nucleare sia concreta, perché gli effetti di un ordigno nucleare tattico esploso in Ucraina finirebbe con il colpire le stesse forze russe. Ma alle valutazioni di Vindman è ragionevole obiettare che di fronte ad una ulteriore escalation delle capacità difensive ucraine non è possibile escludere una ritorsione ancora più aggressiva di Putin, considerando che già si parla del possibile ricorso anche alle armi chimiche. L’opzione militare va dunque calibrata il più possibile ad una prospettiva di contenimento del conflitto, ed è preferibile pensare più realisticamente all’opzione diplomatica.
Il realismo della diplomazia possibile In questo contesto strategico, i negoziati tra le parti in guerra, pur tra tante difficoltà, procedono almeno nel tentativo di assicurare alcuni corridoi umanitari. Si parla anche di un orientamento dell’Ucraina verso una riforma costituzionale che preveda la “neutralità”, e quindi la non adesione alla Nato, e forse anche a concedere un riconoscimento delle Repubbliche autonome del Donbass; se la Russia rinunciasse ad altre pretese territoriali e al proposito di insediare un nuovo governo filo-russo, si potrebbe anche pensare ad una intesa più concreta. È stato poi promosso dalla Turchia il Forum di Antalya, la prima iniziativa di mediazione ad alto livello, cui sono intervenuti il ministro degli Esteri russo Lavrov e quello ucraino Kuleba.
L’inizitiva non ha segnato passi avanti, come era prevedibile trattandosi del primo incontro. Ma ad oggi vi sono altri elementi di novità che potrebbero assumere un rilievo specifico, che non va assolutamente sottovalutato. Dopo alcune dichiarazioni rese dallo stesso presidente cinese Xi Jinping e dal ministro degli Affari esteri Wang Yi, gli analisti hanno individuato una possibile apertura alla mediazione della Cina. La grande potenza sarebbe ora spinta a tutelare i flussi di import-export, i vari rapporti di cooperazione economica e le risorse investite – anche in Ucraina – in particolare nella belt and road initiative. E si intravede anche il disegno ideologico della “prosperità condivisa” del Grande Timoniere Xi Jinping, che mira pure ad assumere un nuovo ruolo strategico, ancora più incisivo nel contesto globale.
In verità anche la mediazione avviata dalla Turchia sarebbe dettata dagli stabili rapporti di cooperazione economica avviati sia con la Russia sia con l’Ucraina, ma c’è anche da considerare la postura strategica cui da sempre Erdogan tende ad assumere nello scenario internazionale, specie in quel quadrante regionale. Altre importanti iniziative di mediazione del conflitto sono state intraprese pure da Israele, che ha un forte legame con l’ebraismo russo, non ha aderito al sistema delle sanzioni, e con la Russia gestisce molti ambiti di cooperazione economica, e anche strategica sui dossier palestinesi, iraniani e siriani.

Il ruolo delle Nazioni Unite e della comunità internazionale.
Vi sono dunque diversi attori, evidentemente ciascuno con un rilevante peso nel quadro delle relazioni internazionali, che ritengono percorribile e propongono convinti una mediazione, considerandola un’alternativa concreta per impedire l’aggravarsi del conflitto, e delle sue conseguenze sul piano globale. Questa realtà va dunque assolutamente valorizzata, e per questo dovrebbero ora assumere un ruolo più incisivo l’Organizzazione delle Nazioni Unite e l’Unione Europea.
Si osserva che il Consiglio di sicurezza dell’ONU sarebbe bloccato dal potere di veto della Russia. Ma il Segretario Generale dell’ONU, e anche un gruppo dei suoi principali Stati membri, specie quelli dell’Unione Europea che hanno un dovere di solidarietà nei confronti dell’Ucraina, possono ripartire dalla recente approvazione avvenuta in una “sessione di emergenza” dell’Assemblea Generale della Risoluzione ONU A/ES-11/L.1, “Aggressione contro l’Ucraina”, che, sebbene in forma di “raccomandazione”, a stragrande maggioranza ha comunque condannato l’intervento russo in Ucraina e chiesto l’immediata cessazione delle ostilità. Come hanno osservato Andrea de Guttry e Fabrizio Pagani (Le Nazioni Unite. Sviluppo e riforma del sistema di sicurezza collettiva, 2020), la prima convocazione in “sessione d’urgenza” dell’Assemblea Generale risale al 1950 durante la crisi coreana, ed è stato il primo strumento attuato proprio per superare l’immobilismo del Consiglio di Sicurezza. In quella circostanza, l’Assemblea Generale adottò la Risoluzione A/Res/377/5 dal titolo emblematico Uniting for peace, che addirittura consentiva anche il potere di disporre un’azione armata.

La proposta: una diplomazia assertiva dell’Onu e un “nucleo forte” di negoziatori.
In definitiva, il segretario generale delle Nazioni Unite, ovvero le diplomazie dei Paesi dell’Onu, a cominciare da quella europea, che intendono sostenere concretamente l’Ucraina e fermare l’aggressione russa, possono promuovere più espressamente un’ altra “sessione di emergenza” dell’Assemblea Generale, per adottare stavolta una nuova vera e propria Risoluzione Uniting for peace, anche in relazione a quanto espressamente richiamato dalla Risoluzione A/ES-11/L.1 che al para 16 dispone un aggiornamento della situazione in Ucraina. L’Assemblea Generale dovrebbe anzi “autoconvocarsi” in seduta permanente dato il rischio di “una terza guerra mondiale”, e l’evidente macroscopica violazione delle regole fondamentali del diritto dei conflitti armati.
L’Assemblea dovrà dunque essere più incisiva nel richiamare la tutela della popolazione civile – in specie ora di fronte alla minaccia degli “assedi medioevali”, che prevedono la privazione di acqua, alimenti e energia elettrica per le città attaccate – e nell’adottare almeno le misure previste dal Capo VI della Carta sulla risoluzione pacifica delle controversie, quali ad esempio la nomina di un “rappresentante speciale” per la mediazione, il ricorso ad organizzazioni o accordi regionali, il deferimento alla Corte internazionale di giustizia, inchieste, etc.
Fondamentalmente, è in questo contesto che andranno perciò valorizzate le varie proposte di mediazione già manifestate, a cominciare da quelle di Cina, Israele, e Turchia. Tuttavia è bene che questi attori non rimangano soli e che siano salvaguardati gli equilibri strategici multilaterali, per cui sarebbe auspicabile che la mediazione confluisca piuttosto in un formato allargato ad un “nucleo forte” di negoziatori: tra questi potrebbero figurare India, Giappone, Arabia Saudita, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Unione Europea. Si avrebbe così una rappresentanza autorevole della comunità degli Stati, di fronte alla quale per Putin sarebbe difficile sottrarsi al confronto e sostenere le sue pretese con la guerra.

* Membro dell’International Law Association.

(Foto: Depositphotos).