Ucraina. Le incognite sulla escalation di Putin: l’attacco al ponte di Kerch e la minaccia nucleare

di Maurizio Delli Santi *

L’attacco al ponte di Kerch, che collega la Russia alla Crimea, ha un indubbio valore dimostrativo, e può incidere sugli sviluppi della guerra. Si tratta di un ponte stradale e ferroviario lungo 18 chilometri, il più lungo della Russia e dell’Europa, che collega il Mar Nero e il Mar d’Azov. Le analisi sul punto meritano perciò di essere esaminate almeno sotto due profili, uno giuridico e l’altro strategico o politico-militare, tra loro strettamente collegati. Anche per comprendere meglio perché è ragionevole proseguire con la deterrenza, ma senza alimentare l’escalation, e sostenere ancora la via del negoziato.
Le note di agenzia che si susseguono sull’attentato al ponte di Kerch non consentono per ora di avere un quadro chiaro della situazione. Saranno decisive le prossime ore per valutare la reale consistenza dei danni e chiarire se si tratti effettivamente dell’esplosione di un camion bomba ovvero, come hanno sostenuto alcune fonti, se vi siano state altre esplosioni o lanci di missili. Di fatto l’effetto dimostrativo è stato ottenuto, anche con la diffusione sul web delle immagini di un grande incendio e una vasta colonna di fumo che coinvolgono un treno in transito sul tratto ferroviario del ponte. C’è anche una rivendicazione di Mykhailo Podolyak, il consigliere politico del presidente ucraino Zelensky, espressa su Twitter: «La Crimea, il ponte: è solo l’inizio. Tutto ciò che è illegale deve essere rimosso. Tutto ciò che è stato rubato deve essere restituito all’Ucraina».
L’attentato al ponte di Kerch dunque può assumere in questo momento di escalation un elevato valore simbolico. Le analisi sul punto meritano perciò di essere esaminate almeno sotto due profili, uno giuridico e l’altro strategico o politico-militare, tra loro strettamente collegati. Partiamo dal profilo giuridico, che potrebbe solo apparentemente rilevarsi secondario, perché sul punto è proprio la Russia ad essersi pronunciata accusando l’Ucraina di aver compiuto un atto di “terrorismo”. La questione tuttavia sotto il profilo del diritto internazionale non si pone: siamo in un contesto di legittima difesa di una nazione aggredita, che può ricorrere anche ad «atti di sabotaggio» su obiettivi militari anche oltre la linea del fronte, in territorio controllato dal nemico.
In verità, si potrebbe forse discutere sulla natura di obiettivo militare di una infrastruttura civile come un ponte ferroviario e stradale, ma è evidente che può dimostrarsi il suo utilizzo per fini militari. In ogni caso ogni opinione sul punto dovrebbe tener conto dei ben più gravi attacchi indiscriminati compiuti dai russi sulla popolazione civile, su ospedali, scuole, e altre infrastrutture civili come la centrale di Zaporizhzhia e l’acciaieria Azovstal. La posizione russa è evidentemente tesa a rilanciare le accuse contro gli ucraini, non a caso dopo la notizia che gli Stati Uniti ufficialmente hanno preso le distanze dall’attentato compiuto con l’uccisione della figlia dell’ideologo Dugin. Emergerebbe dunque un problema di mancata condivisione sui target, che però ora diventa cruciale per gli Stati Uniti che non vogliono l’escalation come hanno dimostrato sinora nel non voler concedere armamenti agli ucraini in grado di colpire oltre il confine russo. Tuttavia l’attacco in piena Crimea nell’ottica degli ucraini non è un attacco in territorio russo, perché la considerano regione ucraina occupata de facto, come è considerata tale anche alle Nazioni Unite e per il diritto internazionale.
Valgono dunque due prime considerazioni sul piano delle scelte strategiche. Potrebbe trattarsi di una scelta unilaterale di Kiev, di cui potrebbe rendere conto alla Nato e alla Casa Bianca che non ricercano l’escalation del conflitto. Altrimenti il target del ponte di Kerch è stato valutato possibile anche dagli Stati Uniti, ma ciò potrebbe anche voler dire che il Pentagono ha ritenuto che l’impiego di un “semplice” camion-bomba e i limitati effetti conseguiti senza compromettere irreparabilmente la struttura – se le circostanze lo confermeranno – a prescindere dal valore dimostrativo sono ben lontani dal livello di escalation presentato da Putin con la proclamata annessione del Donbass e le ultime minacce nucleari. Anche qui le reazioni ufficiali che si registreranno nelle prossime ore potrebbero dare una risposta più compiuta.
La scelta del ponte di Kerch offre in ogni caso altri spunti di riflessione su come anche quest’ultima variabile può incidere sugli sviluppi della guerra. Gli analisti già nelle prime fasi della controffensiva ucraina di maggio avevano ipotizzato che il ponte di Kerch poteva rappresentare un obiettivo per Kiev di elevato valore simbolico. Fu iniziato nel 2014 dopo l’aggressione alla Crimea da parte della Russia, ed è stato inaugurato da Putin che il 18 dicembre del 2019  lo ha attraversato guidando personalmente un Tir per celebrare il ritorno della regione nella  Ruski mir .
Quanto al valore strategico, avrebbe rilievo se un attacco non fosse certo quello di un camion-bomba ma se si trattasse di un atto molto più esteso, idoneo a compromettere la sicurezza dell’intera struttura. Si tratta di un ponte stradale e ferroviario lungo 18 chilometri: è il più lungo della Russia e dell’Europa, costruito sullo stretto di Ker’, l’antico Bosforo Cimmerio per i greci, che collega il Mar Nero e il Mar d’Azov, tra la penisola di Ker’ ad ovest e la penisola di Taman’ ad est. Il ponte peraltro è sottoposto ad una attenta vigilanza delle forze di sicurezza, che si avvalgono anche degli apparati radiogeni ST-6035 per la ricerca di esplosivi. Nella “guerra delle infrastrutture” tra Russia e Ucraina colpire il “ponte di Putin”, come denominato da diversi analisti, taglierebbe il principale collegamento della Crimea con la Russia, essenziale sia per i flussi economici che per la logistica militare.
Il sabotaggio al ponte di Kerch dunque sul piano strategico può solo considerarsi per il valore simbolico, ma con effetti anche nella dimensione della escalation to de-escalate, che Putin sembra aver lanciato con l’ultima minaccia di ricorrere all’impiego un ordigno nucleare tattico. Se Putin pensava di intimorire gli ucraini prospettando il rischio di una bomba nucleare, per indurli a cessare la guerra, Kiev ha voluto rispondere che, anche con armi diverse da quelle nucleari, sono capaci di alzare lo scontro e di colpire al cuore.
Ora gli analisti si stanno spingendo a valutare quale possa essere l’ultima risposta di Mosca, specie con riferimento alla minaccia nucleare. Comincia a pesare su Putin soprattutto la pressione degli ultranazionalisti, come quella del leader ceceno Ramzan Kadyrov  appena promosso “colonnello generale”. Un segnale di preoccupazione viene anche dall’ultima epurazione nei vertici militari: ora Putin ha designato il generale Serghei Surovikin nuovo comandante operativo delle forze dell’ “operazione militare speciale” in Ucraina. Gli Stati Uniti e la Nato puntano fondamentalmente sulla deterrenza: la Casa Bianca ha precisato che sui canali riservati la Russia è stata avvertita delle “gravi conseguenze” che deriverebbero dall’impiego di un ordigno nucleare tattico, senza indicare quali. L’incertezza su ciò che può aspettarsi Putin è una buona arma di dissuasione.
In ogni caso, l’Unione Europa, che ha sulla soglia la minaccia nucleare, farebbe meglio a rappresentarsi dove meglio può esprimersi, sul percorso della diplomazia assertiva: è il momento di promuovere con più determinazione la strada del negoziato, anche premendo sull’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, prima che accada il peggio.

* Membro dell’International Law Association.