di Giuseppe Gagliano –
L’ultima dichiarazione di Emmanuel Macron sulla possibilità di schierare forze di peacekeeping occidentali in Ucraina conferma la volontà della Francia di assumere un ruolo di leadership nella crisi ucraina. Tuttavia, la proposta del presidente francese solleva interrogativi sia in termini strategici che politici, rischiando di trasformarsi più in una provocazione nei confronti di Mosca che in una reale iniziativa di stabilizzazione.
Macron ha dichiarato, in un’intervista a Le Parisien, che Kiev “non ha bisogno del permesso della Russia” per accogliere truppe alleate sul proprio territorio. Un’affermazione che, di per sé, è ovvia: l’Ucraina è uno Stato sovrano e può decidere chi ospitare. Tuttavia, il problema non è giuridico, bensì geopolitico.
Schierare peacekeeper occidentali senza un accordo con Mosca significherebbe esacerbare ulteriormente il conflitto, portando la NATO a un passo dallo scontro diretto con la Russia. Non si tratta solo di un atto di solidarietà con Kiev, ma di un potenziale casus belli che potrebbe avere conseguenze imprevedibili. La questione centrale è: l’Europa è davvero pronta a un confronto diretto con la Russia?
Da mesi, Macron sta cercando di accreditarsi come il leader europeo più attivo sul dossier ucraino. Prima ha parlato della necessità di un “riarmo europeo”, poi ha ipotizzato l’invio di truppe sul campo, ora propone i peacekeeper. Ma il problema è che questa escalation retorica non è accompagnata da una chiara strategia militare o diplomatica.
L’idea di un contingente di 10mila uomini, avanzata dal Regno Unito e sostenuta dalla Francia, appare più come una dichiarazione d’intenti che un piano realistico. Zelensky stesso ha indicato che servirebbero almeno 100.000 soldati per garantire un’efficace deterrenza sul campo. Inoltre, la mancanza di consenso tra gli alleati europei – con Italia e Finlandia che si sono già tirate fuori – rende il progetto ancora più fragile.
Il Cremlino ha già fatto sapere che considera un’eventuale presenza militare occidentale in Ucraina come una minaccia diretta. La Russia non ha mai fatto mistero della sua posizione: la presenza di truppe NATO sul territorio ucraino equivarrebbe a una dichiarazione di guerra. A quel punto, qualsiasi incidente, qualsiasi errore tattico potrebbe trasformarsi in un punto di non ritorno.
Il vero problema è che Macron sembra sottovalutare le dinamiche della deterrenza. Mosca ha già dimostrato di essere disposta a spingersi molto oltre per difendere la sua “sfera d’influenza”. Mettere truppe occidentali in Ucraina senza una strategia chiara su come reagire a una possibile rappresaglia russa significa giocare con il fuoco.
L’Europa, anziché consolidare una posizione comune, si presenta sempre più frammentata sulla questione ucraina. Da un lato ci sono Francia e Regno Unito, che cercano di assumere un ruolo di guida, dall’altro paesi come Germania, Italia e Finlandia, che mantengono un atteggiamento più prudente. Anche all’interno della NATO, l’idea di un peacekeeping occidentale in Ucraina è accolta con freddezza: Washington, impegnata in una fase di riposizionamento globale, non sembra intenzionata a seguire Macron su questa strada.
Macron cerca di proiettare l’immagine di una Francia forte, capace di guidare l’Europa in un momento di crisi. Ma la realtà è che la sua politica estera è spesso più teatrale che efficace. Parigi ha lanciato messaggi ambiziosi, senza però costruire una vera coalizione dietro le proprie iniziative.
L’idea dei peacekeeper in Ucraina, in questo momento, sembra più un’operazione di propaganda politica che una reale opzione strategica. Il rischio è che Macron, nel tentativo di affermarsi come leader europeo, finisca per creare più problemi di quanti ne possa risolvere, trascinando l’Europa in un’escalation che nessuno è davvero pronto a gestire.