
di Riccardo Renzi * –
I leader europei della cosiddetta “Coalizione dei volenterosi” non hanno trovato la quadra sull’approccio alla situazione attuale in cui versa il conflitto ucraino. L’unico punto essenziale sul quale è stato trovato un accordo è la proroga e magari l’implementazione delle sanzioni alla Russia, per quanto li Stati Uniti di Donald Trump stiano facendo marcia indietro e le stesse si siano dimostrate non solo inefficaci, bensì anche controproducenti. Lo stop alle sanzioni sull’esportazione dei cereali è stata messa come condicio sine qua non da Vladimir Putin nell’attuazione del piano di tregua, prorogabile, stabilito a Riad, ma a quanto pare l’Ue sta facendo i salti mortali per procrastinare il più possibile la risoluzione del conflitto, incolpando il Cremlino, come ha sostenuto in primis il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, di non volere la pace.
Mentre la posizione dell’Italia è quella di ragionare in un quadro euroatlantico, tenendo quindi una coesione politica con l’altra sponda dell’Atlantico, Francia e Gran Bretagna spingono pericolosamente sull’acceleratore della guerra, inviando a conflitto aperto un contingente di uomini per “preparare quello che sarà l’esercito ucraino di domani”. Nessuna forza di forze peacekeeping quindi, bensì militari armati e attrezzati che solo chi è ingenuo può immaginare restino lontano dal fronte. Una pericolosissima iniziativa, da cui giustamente l’Italia si è chiamata fuori.
Le dichiarazioni del presidente francese, in occasione del vertice all’Eliseo, hanno scatenato un acceso dibattito sulla natura dell’Unione Europea e sulle dinamiche di potere che la governano. Il presidente francese ha affermato che “l’unanimità non serve” più, un’affermazione che non lascia spazio a interpretazioni: l’Unione Europea non funziona più come un progetto politico fondato su principi di solidarietà e cooperazione tra stati sovrani, ma come un’entità dove le decisioni cruciali vengono imposte da un ristretto gruppo di potenze, con la partecipazione di pochi attori dominanti. La dichiarazione di Macron si inserisce in un contesto sempre più segnato dall’egemonia di grandi Stati membri come Francia e Regno Unito, quest’ultimo ormai fuori dall’Unione, ma che continua a influenzarne pesantemente la politica estera.
Il principio dell’unanimità, che in passato tutelava l’equilibrio e la sovranità degli Stati membri, viene oggi ridotto a un ostacolo da superare. Piuttosto che rispettare le diverse voci e le differenti volontà popolari che compongono l’Unione, i decisionisti europei preferiscono bypassare i meccanismi di consenso, adattando le regole ai desideri di chi detiene il potere. Il risultato? L’Unione Europea sta perdendo progressivamente il suo carattere democratico e pacifista, trasformandosi in un sistema tecnocratico che agisce al di sopra delle esigenze e dei diritti dei cittadini.
Se un tempo l’Unione Europea si presentava come un organismo che rifletteva le aspirazioni di un intero continente, oggi è diventata una rete di decisioni opache e centralizzate, dominate da un’élite politica che si muove in sintonia con potenti lobby economiche e industriali. Queste lobby, che agiscono dietro le quinte, influenzano scelte cruciali, inclusi interventi militari e politiche estere, senza alcuna reale legittimazione democratica.
Il Parlamento Europeo, l’unico organo eletto democraticamente, appare sempre più marginalizzato e svuotato di potere, incapace di influire davvero sulle scelte strategiche che riguardano la sicurezza, la pace e la guerra. È emblematico come decisioni fondamentali in materia di politica estera, come il rafforzamento dell’esercito ucraino, vengano prese senza un mandato popolare. Nessun cittadino europeo è stato chiamato a pronunciarsi su un coinvolgimento diretto nella guerra in Ucraina, ma le scelte vengono calate dall’alto, in un contesto dove la volontà popolare è messa in secondo piano rispetto agli interessi geopolitici.
In un contesto di crescente tensione, l’Europa si trova a fronteggiare una guerra che non ha deciso e che non ha nemmeno scelto di fermare. Macron, nel tentativo di stemperare le critiche, ha presentato la sua nuova proposta di “forza di rassicurazione” per l’Ucraina, in cui il suo Paese si pone come attore decisivo. La frase è sfuggente e poco chiara, ma lascia intendere l’intenzione di inviare contingenti militari francesi in Ucraina, non per il mantenimento della pace (cosa che richiederebbe il consenso di entrambe le parti in conflitto e un mandato ONU), ma per esercitare una sorta di dissuasione contro la Russia. In altre parole, un’iniziativa che potrebbe facilmente trasformarsi in un’ulteriore escalation del conflitto.
Ma chi sono questi “volenterosi” che, secondo Macron, potrebbero intervenire? E soprattutto, chi ha deciso per loro? Non ci sono risposte precise: non si sa dove, né in che misura, né con quale mandato giuridico. Le dichiarazioni di Macron appaiono come una formula che cerca di mascherare un’azione militare rischiosa sotto il termine ambiguo di “rassicurazione”, facendo leva su un linguaggio che cerca di far sembrare accettabile quello che, in realtà, potrebbe essere un intervento diretto.
La storia ci insegna che le guerre vengono spesso decise da un’élite politica, spesso lontana dalla volontà popolare. Durante la Prima Guerra Mondiale, la maggior parte degli italiani era neutralista, ma un gruppo di politici e poteri forti, spinti da interessi economici, portarono il Paese nel conflitto. Oggi, la dinamica è la stessa, ma gli strumenti sono cambiati: l’Unione Europea non decide più attraverso il dialogo e il consenso, ma con il diktat di pochi Stati e, dietro di essi, le potenti lobby internazionali.
In Ucraina, i “decisori” non sono i cittadini, non sono i rappresentanti democraticamente eletti, ma sono i leader di quei Paesi che hanno interesse a portare avanti un’agenda geopolitica. Mentre il resto dell’Europa viene trascinata in decisioni per le quali non ha dato mandato, la democrazia sembra perdersi, silenziosamente, dietro le porte chiuse delle sale del potere.
La dichiarazione di Macron sulla fine dell’unanimità segna un punto di non ritorno per l’Unione Europea. Non si tratta solo di un cambiamento nella modalità decisionale, ma di una vera e propria crisi della democrazia europea. Quando le decisioni cruciali vengono prese da pochi, senza il coinvolgimento diretto dei cittadini, l’Unione perde la sua ragion d’essere. Non è più un progetto di cooperazione tra popoli sovrani, ma un’arena in cui le potenze dominanti impongono la loro volontà. E mentre l’Europa si avvicina sempre di più alla guerra, il popolo rimane escluso dal processo decisionale, impotente di fronte a scelte che cambieranno per sempre il destino del continente.