Ucraina. Nuovi scenari strategici per una de-escalation

di Maurizio Delli Santi * –

L’evoluzione della guerra, in cui la pressione russa continua ma non segna passi decisivi, è ora investita da un significativo cambiamento del quadro strategico: Finlandia e Svezia hanno annunciato di voler aderire alla Nato, per cui la stessa avanzerà di oltre 1300 Km sui confini russi. Nel contempo il Pentagono ha chiesto al ministero della Difesa russo di avviare un canale per promuovere il cessate-il-fuoco, ma l’iniziativa non ha avuto per ora risposte ufficiali. Vladimir Putin ha giudicato le nuove prospettive di adesione alla Nato “un grave errore”. Gli analisti si sono divisi tra chi ritiene inevitabile un rischio di escalation, anche per la minaccia nucleare, e chi invece propende per una “guerra di logoramento”. Intanto in Europa le posizioni espresse da Emmanuel Macron e Mario Draghi sembrano voler affermare una leadership condivisa, oltre che per reiterare il sostegno all’Ucraina, soprattutto per la ripresa dei negoziati verso la pace. L’interresse per l’occidente, che pare ora su una netta posizione di vantaggio, è puntare con fatti concreti alla de-escalation.

Sono due gli ultimi elementi di assoluta novità che stanno incidendo sul progressivo cambiamento degli scenari strategici della guerra in Ucraina. Il primo riguarda la reazione del presidente russo Vladimir Putin che, in una conversazione telefonica con il presidente finlandese Sauli Niinisto, ha detto che l’abbandono della tradizionale neutralità della Finlandia per aderire alla Nato “sarebbe un errore perché non ci sono minacce alla sicurezza della Finlandia”.
L’altro elemento è l’annuncio arrivato inaspettato: il segretario della Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha chiamato il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, chiedendo di intraprendere i colloqui per un rapido cessate-il-fuoco in Ucraina, e di assicurare tutti i canali di comunicazione necessari.
Ma è bene analizzare le due vicende ripercorrendone l’ordine cronologico, che poi ha anche un senso logico. L’iniziativa del Pentagono è stata letta sotto vari profili. Un primo aspetto riguarda proprio il livello della stessa, che si riferisce ai vertici delle strutture militari. In molti hanno ricordato che era stato lo stesso Austin che, al vertice Nato di Ramstein aveva dichiarato: “Oggi siamo qui riuniti per aiutare l’Ucraina a vincere la battaglia contro la Russia. Ma ora vogliamo rendere più difficile per la Russia minacciare i suoi vicini e indebolirla in questo senso”. E dopo Ramstein la nuova “coalizione dei volenterosi” guidata dalla Nato si è presentata di fronte alla Russia con l’adesione di un più vasto fronte geopolitico che comprende fra gli altri Giappone, Qatar, Liberia, Nuova Zelanda e Australia. Ciò potrebbe far inquadrare la scelta dell’iniziativa sul cessate-il-fuoco in una voluta manifestazione di sicurezza degli Stati Uniti, giustificata dal consenso ottenuto e dai successi della resistenza ucraina, con la quale ora propone i negoziati da una posizione di forza. Una condizione che difficilmente indurrà Putin a fare concessioni sulla via del negoziato.
Un’altra lettura può porre in evidenza che il livello militare può essere il più immediato per gestire alcuni aspetti propriamente tecnico-operativi, ad esempio per evitare malintesi e incidenti, attuare tregue temporanee e corridoi umanitari, tutte attività che in sostanza potrebbero preludere ad una progressiva de-escalation verso il negoziato sui temi più generali. Alcuni segnali in questo senso sarebbero già stati manifestati: l’amministrazione statunitense avrebbe emanato una direttiva interna sulla condivisione dei dati dell’intelligence americana con quella ucraina, in cui sarebbero escluse informazioni dirette a localizzare le figure apicali della leadership militare e politica della Federazione Russa e obiettivi russi posti al di fuori dei confini ucraini. Si tratta di un provvedimento che segue le polemiche sorte dopo le rivelazioni del Washington Post secondo cui gli americani avrebbero fornito le posizioni dei generali russi poi “neutralizzati” dagli ucraini.
Ma al momento sulla proposta di cessate-il-fuoco dalla Russia non sono pervenute risposte ufficiali. E le ragioni possono comprendersi in vari fattori. A parte le difficoltà sorte sullo svolgimento della campagna militare in Ucraina, la Russia non ha certo gradito che gli Usa abbiano previsto un ulteriore sostegno di 40 miliardi di dollari per gli aiuti militari a Kiev. Per molti analisti militari ciò significa che, quando tutti i nuovi arsenali militari saranno giunti, l’Ucraina entro giugno sarebbe nelle condizioni di rilanciare una controffensiva decisiva. Inoltre la Russia si sta vedendo presto avvicinare la Nato su altri 1360 km di confine se, come ormai sembra certo, molto presto Finlandia e Svezia aderiranno all’Alleanza Atlantica rinunciando alla loro storica neutralità. La scelta ha contrariato fortemente la Federazione Russa, come è emerso dalle dichiarazioni di Putin che fanno pensare a un retropensiero ben più serio. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov aveva già detto che Mosca “adotterà le necessarie misure per garantire la propria sicurezza”, e l’ex presidente russo Dmitry Medeved, ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha già avvertito che se Stoccolma e Helsinki aderiranno all’Alleanza Atlantica, Mosca schiererà testate nucleari russe nel Mar Baltico, nell’exclave di Kaliningrad, sottratta alla Germania nazista dopo la Seconda guerra mondiale.
Ora all’interno dello stesso fronte della Nato sta emergendo qualche perplessità. La contrarietà all’adesione di Svezia e Finlandia è stata espressa in maniera netta dalla Turchia, che ha ricordato “l’errore per la Nato” di avere accettato come membro la Grecia, sua storica nemica su tanti dossier nel Mediterraneo. Stavolta le riserve turche sono per due ragioni. La prima è per l’esito del percorso dei negoziati intrapresi con Mosca promossi dallo stesso presidente Recep Tayyp Erdogan, e certamente la nuova espansione della Nato non aiuta al processo avviato. La seconda riguarda la “questione curda”: “Come Turchia, non vogliamo ripetere errori simili. Inoltre i paesi scandinavi sono rifugio per organizzazioni terroristiche”, ha affermato il leader turco, aggiungendo che “sono persino membri del parlamento in alcuni paesi. Non è possibile per noi essere favorevoli”, riferendosi alla presenza nel parlamento svedese di un deputato curdo. D’altro canto occorre anche considerare la visione strategica di Erdogan che per la vicinanza dei confini lo ha sempre indotto a non esporsi mai eccessivamente con la Russia.
La guerra in Ucraina in ogni caso continua e la pressione russa non sembra diminuire specie sull’assedio nell’area dell’acciaieria Azovstal, a Mariupol, che per i russi sarebbe una battaglia di elevato valore simbolico se riuscisse ad avere ragione sulla resistenza del Battaglione Azov. Su altri fronti l’avanzata russa è però molto incerta. Sta di fatto che gli analisti si sono divisi tra chi ritiene inevitabile un rischio di escalation, anche per la minaccia nucleare, e chi invece propende per una “guerra di logoramento”. In questa prospettiva la questione di fondo è che sarà difficile trovare convergenze tra i due attori principali del conflitto, che in realtà sarebbero Stati Uniti e Federazione Russa, ciascuno dei quali ha aspettative opposte sulla ridefinizione degli assetti geopolitici mondiali, specie con riferimento alla c.d. “architettura di sicurezza europea”, dove ora l’adesione alla Nato di Finlandia e Svezia rappresenta uno smacco per la Russia.
Lo scenario però potrebbe essere interpretato anche secondo l’approccio strategico delle “teorie dei giochi” notoriamente applicabili alle relazioni internazionali. Qui potrebbe esservi un “gioco dei ruoli” dove Stati Uniti e alcuni Paesi della Nato e dell’Ue, come ad esempio Regno Unito, Polonia, i Paesi Baltici, e ora Svezia e Finlandia, optano per la linea più intransigente e “militarista”, mentre altri Paesi, fra cui certamente l’Italia, la Francia e la Germania, si sono dichiarati più orientati a riaprire la via dei negoziati per una mediazione sia sulla questione dell’Ucraina sia sulla dimensione della sicurezza globale.
E proprio in quest’ultima prospettiva è bene far riferimento alle linee che sono state espresse per ultimo dal presidente francese Macron e dal premier Draghi per delineare in che termini sta emergendo con più convinzione una leadership europea che potrebbe svolgere un ruolo più incisivo verso la via dei negoziati.
Il 9 maggio, mentre Putin celebrava in tono dimesso la “Giornata della Vittoria”, il presidente di turno del Consiglio Ue Macron ha confermato la piena adesione alla scelta euroatlantica sulle sanzioni e sugli aiuti militari all’Ucraina. Ma ha precisato che “Ciò tuttavia non vuol dire che siamo in guerra contro la Russia. Operiamo in veste di europei per la preservazione della sovranità e dell’integrità territoriali dell’Ucraina, per il ritorno della pace sul nostro continente. Spetta soltanto all’Ucraina definire i termini di negoziazione con la Russia. Ma il nostro dovere è essere al suo fianco per ottenere il cessate-il-fuoco e costruire la pace”. Ed ha aggiunto che “Non dovremo cedere né alla tentazione dell’umiliazione né allo spirito di vendetta. Perché nel passato hanno già fatto troppi danni per i cammini della pace”. Macron ha poi riavviato il dialogo con la Cina, elemento di sicuro rilievo strategico in una possibile mediazione con la Russia. L’Eliseo ha quindi diffuso una nota in cui ha precisato che i due capi di Stato hanno “ricordato il loro legame al rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina” e “hanno condiviso l’urgenza di giungere ad un cessate-il-fuoco“.
Il 10 e 11 maggio è stata la volta del premier Draghi, che si è espresso nel corso della visita ufficiale negli Stati Uniti. Al presidente Usa Joe Biden, che lo aveva ringraziato per il sostegno dato alle convergenze raggiunte tra Nato e eE, ha detto che “Le nostre Nazioni sono unite in modo forte e la guerra in Ucraina ne ha ulteriormente rafforzato l’unione. Siamo uniti nel condannare l’invasione dell’Ucraina, uniti nelle sanzioni e nell’aiutare l’Ucraina come ci ha chiesto il presidente Zelensky”. Ma ha poi subito aggiunto che “In Italia e in Europa adesso le persone vogliono la fine di questi massacri, di questa violenza e di questa macelleria e pensano che cosa possiamo fare per portare la pace. Dobbiamo utilizzare ogni canale per la pace, per un cessate-il-fuoco e l’avvio di negoziati credibili”. E per argomentare meglio la necessità di avviare un sollecito percorso sulla mediazione diplomatica per porre fine al conflitto, il premier ha ricordato anche le forti preoccupazioni per la sicurezza energetica ed alimentare. È in questi ambiti che le popolazioni europee, e soprattutto quelle dei paesi più fragili, risentiranno ancora di più i drammatici effetti della guerra, se questa dovesse prolungarsi.
Due discorsi dunque quelli di Macron e Draghi pienamente armonizzati e integrati in una visione comune di un’Europa che vuole la pace: un fatto concreto, di cui Putin potrebbe tener conto per individuare dei mediatori affidabili. L’interesse per l’occidente, che pare ora su una netta posizione di vantaggio, è puntare alla de-escalation.

* Membro dell’International Law Association.