Ucraina. Punto di non ritorno

di Marco Corno

E’ il punto di non ritorno. Il 21 febbraio dopo il discorso alla nazione sulla crisi ucraina, il presidente russo Vladimir Putin ha firmato il decreto che riconosce l’indipendenza delle repubbliche separatiste filorusse di Donetsk e Luhansk dallo stato ucraino e ha ordinato l’invio di truppe nel Donbass a difesa della popolazione giustificandola come operazione di peacekeeping. Con questa mossa Putin ha ratificato una situazione che di fatto già esisteva sul territorio da otto anni ma che in un momento delicato come quello attuale ha un forte impatto geopolitico sugli equilibri europei e sul futuro dell’Ucraina. L’intento del Cremlino è di forzare lo stallo per cercare di sbloccare uno status quo che le trattative diplomatiche e le mediazioni di Francia e Germania non sono riuscite a risolvere.
Kiev rischia una forte destabilizzazione come mai vista in precedenza se non addirittura l’implosione qualora il governo perdesse completamente il controllo del proprio territorio. La riacutizzazione della guerra tra l’esercito ucraino e i separatisti filo-russi nella parte orientale del paese sono il risultato di mesi di stallo diplomatico tra USA e Russia che hanno messo eccessivamente sotto pressione la stabilità nazionale di Kiev e adesso, sebbene la diplomazia continui a fare il proprio corso anche in un momento così difficile, sembra prospettarsi sempre di più la possibilità di una soluzione manu militari alla questione ucraina in una prima fase a cui potrebbe seguire una seconda fase di negoziato.
Diversi sono gli scenari militari che potrebbero accadere nelle prossime settimane ma presumibilmente se ne profilano due:
Il primo, peraltro già in corso, è una guerra per procura tra Ucraina e Russia nel Donbass il cui interesse russo è di logorare le forze ucraine e costringere Zelensky a firmare un trattato di pace che blocchi qualsiasi tipo di adesione dell’Ucraina alla NATO o ad altre organizzazioni senza il consenso della Russia.
Il secondo è un’operazione lampo, più che un’occupazione territoriale di lungo periodo, della Russia con l’appoggio di Bielorussia e Kazakistan (con il quale la Russia vanta un credito politico) sul modello della guerra russo-georgiana (2008) da condurre in qualche giorno per ristabilire la deterrenza con Kiev, imporre un regime filo-russo e costringere Washington e la NATO ad accettare il fatto compiuto: Putin è infatti consapevole che il controllo territoriale dell’intera Ucraina sarebbe troppo difficile, troppo dispendioso e soprattutto controproducente in un periodo storico molto delicato per la nazione russa.
Il risultato finale potrebbe essere una spartizione dell’Ucraina in due sfere di influenze e segnali sul campo si stanno già manifestando anche da parte occidentale: l’evacuazione del personale non essenziale da parte di alcune ambasciate occidentali a Kiev, l’invito di Biden ai connazionali americani a lasciare il paese, lo spostamento a ovest dell’ambasciata statunitense a Leopoli e il ritiro di una buona parte delle truppe americane dall’Ucraina sono tutte prove che da questa crisi l’ex Repubblica sovietica ne uscirà diversa.
Tutto può ancora accadere e di certo la partita è ancora lontana dall’essere conclusa.