Ucraina. Quadruplica il prezzo del trasporto del gas, si rischia il collasso sociale

di Giuseppe Gagliano

In Ucraina il nuovo anno si è aperto con una notizia che sa di paradosso amaro a causa della decisione di Volodymyr Zelensky di chiudere i gasdotti diretti dalla Russia in Europa. Il costo per il trasporto nazionale dell’energia si è infatti quadruplicato, cosa che sta mettendo in ginocchio i consumatori locali e riflette le complesse dinamiche geopolitiche ed economiche in cui il paese è immerso. Con la fine dell’accordo di transito con la Russia, Naftogaz cerca di coprire il vuoto finanziario scaricando i costi sulla popolazione. Ma a quale prezzo si paga questa apparente autonomia energetica?
La decisione, approvata dall’autorità di regolamentazione ucraina, porta il costo del trasporto interno del gas a 502 grivne (circa 11,95 dollari) per mille metri cubi, rispetto al precedente di 124 grivne. Per un paese dove la media salariale è tra le più basse d’Europa, si tratta di un colpo durissimo. Non è solo una questione economica, ma anche un dramma sociale e politico.
L’Ucraina ha scommesso tutto sulla separazione dal gas russo, ma il costo di questa scelta appare sempre più insostenibile. Come ha ammesso Dmytro Lyppa, direttore generale dell’operatore di trasporto del gas ucraino, nel 2024 ben l’85% delle entrate del settore, circa 800 milioni di euro, proveniva dal transito russo. Ora, con l’interruzione dei flussi, il sistema si regge solo su quel risicato 15% proveniente dai consumatori interni, che saranno costretti a coprire l’enorme differenza.
Nel frattempo la Russia si dice disponibile a continuare le forniture di gas attraverso l’Ucraina, ma lascia la responsabilità delle trattative a Kyiv e ai paesi europei. Una mossa questa che pone Mosca in una posizione ambivalente: da un lato la Russia sottolinea la propria “affidabilità” come fornitore a costi competitivi, dall’altro delega, senza torto, la colpa dello stallo alle scelte occidentali.
L’Unione Europea dal canto suo sta cercando di adattarsi a un futuro senza gas russo. Ma il processo è più lento del previsto e le soluzioni alternative, come le forniture dall’Azerbaigian o dal Medio Oriente, non possono compensare immediatamente le perdite. Paesi come Austria, Ungheria e Slovacchia, che dipendono in modo significativo dal transito ucraino, rischiano di trovarsi in una situazione critica.
L’Austria ha stretto accordi con la norvegese Equinor, la britannica Bp e la statunitense Cheniere, mentre la Slovacchia ha stretto un accordo con la compagnia petrolifera azera SOCAR per garantire forniture alternative, ma è solo un piccolo tassello in un puzzle energetico sempre più frammentato. Per l’Ucraina però la questione è ancora più drammatica: ogni mossa verso l’autonomia energetica sembra essere un boomerang che colpisce prima di tutto i cittadini.
Il paradosso ucraino è chiaro: per affermare la propria indipendenza da Mosca, Kiev sta sacrificando la stabilità economica interna e rischia di alimentare nuove tensioni sociali. Una strategia che appare autolesionista, soprattutto in un contesto dove la solidarietà internazionale sembra ormai più retorica che reale.
Chi pagherà alla fine il prezzo di questa partita geopolitica? Se il passato è un’indicazione, saranno ancora una volta i cittadini ucraini, intrappolati in una crisi che non hanno scelto, ma che li colpisce inesorabilmente. E intanto, mentre i governi giocano al risiko energetico, le famiglie si trovano di fronte al freddo, al buio e a bollette impossibili da sostenere.