Ucraina. Segnali di dialogo, ma si continua a sparare, soprattutto a sud

di Enrico Oliari

La guerra in Ucraina procede in tutta la sua drammaticità, per quanto le varie cancellerie indichino prudenti segnali della volonta di tornare al dialogo e di risolvere lì le diatribe. I russi insistono nei loro punti fermi, ovvero la non adesione dell’Ucraina alla Nato, la smilitarizzazione del paese, l’indipendenza di Donetsk e di Lugansk, il riconoscimento della Crimea quale territorio russo e la “denazificazione” (con riferimento ai battaglioni come l’Azov che combattono nel sud), ma è palese che continuare l’intervento armato non porterà a nulla risolutivo. Anzi, tra pressioni esterne ed interne, perdite consistenti di militari e mezzi e il rischio di uno stop all’esportazione in Europa di idrocarburi, “l’operazione speciale” voluta da Vladimir Putin si sta ritorcendo contro il Cremlino anche in termini di consenso popolare, e di certo non basta la chiusura dei social a frenare il malontento.
Probabilmente il presidente russo aveva messo in conto sanzioni e reazioni, ma di certo non di tale portata, e comunque un altro effetto collaterale è stata la trasformazione dell’Ucraina da società del tutto simile a quella russa, cioè fintamente democratica ed in mano agli oligarchi locali, in un paese unito attorno al suo presidente, Volodymyr Zelensky.
Fatto sta che il presidente ucraino è tornato a proporre il dialogo, anche se non come gli aveva suggerito il premier israeliano Naftali Bennett di arrendersi e di porre così fine al massacro. Zelensky ha spiegato ai giornalisti che “fino a poco fa da Mosca arrivavano solo ultimatum, adesso i russi hanno iniziato a parlare di qualcosa”. Da Mosca è stata infatti segnalata la disponibilità a procedere con incontri fra le delegazioni in videoconferenza, che potrebbero essere realizzati anche fra poche ore senza l’impegno di individuare il luogo e la mediazione di un paese terzo, com’è invece avvenuto per i quattro colloqui precedenti, se si include quello in Turchia dei ministri degli Esteri Sergei Lavrov con Dmytro Kuleba.
Di certo sui colloqui e sul dialogo con le altre cancellerie continua a trapelare poco, ed anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che si è sentito in una chiamata a tre con Putin e con il presidente francese Emmanuel Macron, ha spiegato che “abbiamo chiesto la fine della guerra”, ma “sugli altri contenuti del colloquio è stato concordato di mantenere il silenzio”.
Kuleba ha insistito su Twitter che “viste le richieste inaccettabili da parte dei russi non scendiamo a compromessi su temi essenziali per l’Ucraina”, ma è pacifico che per dare una risposta alla crisi è necessario che le parti smussino gli angoli, magari, come ha proposto Zelensky, coinvolgendo nelle trattative proprio l’israeliano Bennet.
Anche il capo della Farnesina, Luigi di Maio, ha parlato di “timidi segnali che fanno portare avanti una soluzione diplomatica che ci possa condurre alla pace”, ma con tutta probabilità Putin metterà sul piatto degli europei il ritiro delle sanzioni, a cominciare dalla cassazione del progetto di un’Unione Europea libera dagli approvigionamenti russi .
Sul terreno però le armi non tacciono.
Nella notte le sirene hanno continuato a suonare in diverse città del paese, anche a Leopoli, dove vi sono state esplosioni per missili lanciati su obiettivi militari. A nord di Kiev vi sono i carri armati russi, raccolti in gruppi dispersi nella foresta ad una ventina di chilometri dalla capitale, per cui si dà come imminente l’attacco . Colpite Dnipro, nella parte meridionale del paese, e Kirovograd, che da Dnipro è circa a metà strada per Mykolaiv. Bombardamenti sono segnalati presso quest’ultima, come pure movimenti di truppe: la conquista di Mykolaiv aprirebbe la strada per Odessa, al momento risparmiata dai combattimenti, ma che potrebbe essere stretta in un attacco a tenaglia via mare e via terra. La situazione resta drammatica a Mariupol, dove però a combattere per gli ucraini vi sono i neonazisti dichiarati del Battaglione Azov, una brigata ormai internazionale attiva (e tollerata da Kiev nonostante i crimini brutali) nel Donbass dal 2014: non essendo militari regolari, i componenti potrebbero essere passati per le armi, se catturati.
Nella Kherson occupata, i russi starebbero preparando un referendum simile a quello fatto nel 2014 nella vicinissima Crimea, a Lugansk e a Donetsk, ma Zelenky ha tuonato che la città “rimarrà ucraina”, e che quello dei russi sarà un “referendum farsa”.
L’impressione che si ha è che i russi puntino soprattutto al sud, per dare continuità territoriale alla Crimea attraverso i territori meridonali ad est del Dnepr. O quantomeno creare uno stato cuscinetto alleato, nel momento in cui l’Ucraina dovesse aderire alla Nato.