Ucraina. Una guerra persa nella solitudine geopolitica

di Riccardo Renzi

“Se chiedeste a chiunque chi stia vincendo la guerra in Ucraina, penso la stragrande maggioranza direbbe la Russia. E sul campo questo è innegabile. Sul piano della strategia globale, però, il discorso è più complesso e paradossale: la tenacia ucraina, invece di attrarre la salvezza, sembra aver accelerato il suo isolamento”. Queste le parole di Paolo Falconio, uno dei migliori analisti geopolitici.
Nonostante la propaganda occidentale e la narrazione di resistenza eroica, l’Ucraina sta rapidamente scivolando verso una crisi militare, sociale e demografica di proporzioni catastrofiche. La Russia, pur con una macchina bellica appesantita e un sistema politico sotto pressione, ha dimostrato una resilienza inattesa. Ha mantenuto intatte gran parte delle sue capacità navali e aeree, e conserva un esercito numericamente imponente, circa 1.5 milioni di uomini, anche grazie alla leva prolungata e all’arruolamento forzato di prigionieri.
Eppure sul piano strategico globale la Russia si trova in una posizione ambigua. Bloccata in un conflitto che si pensava rapido e risolutivo, Mosca ha rivelato i suoi limiti: ha vinto sul campo, ma ha perso l’aura di potenza invincibile che gli Stati Uniti le attribuivano. Di conseguenza, per Washington, la Russia non è più un rivale primario, bensì un attore regionale scomodo, con il solo potenziale residuo di trascinare il mondo in una guerra nucleare.
Questo mutamento di percezione ha avuto un impatto devastante su Kiev: gli Stati Uniti, sia l’amministrazione Biden, sia il Pentagono, sia lo stesso Trump, che viene erroneamente etichettato come autarca, hanno deciso che l’Ucraina non è più una priorità strategica. La minaccia principale si chiama Cina.
Nel vuoto lasciato dagli Stati Uniti, l’Europa ha giocato una partita doppia, cinica, e a tratti moralmente discutibile. Il supporto europeo all’Ucraina, se confrontato con le reali necessità militari di Kiev, è una mancia strategica. L’Ucraina è diventata per l’Unione Europea ciò che i palestinesi sono da decenni per alcuni Paesi arabi: una causa utile, uno strumento geopolitico. La Francia sogna di ricostruire una sua centralità strategica, la Germania approfitta del riarmo per rilanciare la propria industria bellica, i Paesi baltici adottano misure restrittive contro le minoranze russofone, non per sfidare Mosca, ma perché sanno che ora non può reagire.
Nessuno, realmente, crede più in una vittoria ucraina. Lo dimostra il recente report del think tank RAND, vicino all’ala democratica americana, che apre con un’analisi su come ricostruire le forze armate russe dopo la guerra. Il presupposto è eloquente: il conflitto sta finendo, e finirà con una Russia che sopravvive, e un’Ucraina a pezzi.
Mentre i missili piovono sul Donbass e sul fronte settentrionale, l’Ucraina combatte una guerra anche interna: quella contro la diserzione, la fuga dalla leva e la dissoluzione del morale delle truppe. I numeri parlano chiaro: oltre 86.000 procedimenti penali per diserzione, più di 22.000 disertori in soli due mesi dopo l’inizio dell’offensiva russa su Kursk, e un ritmo attuale di oltre 700 soldati persi al giorno tra morti, feriti e fuggitivi. Un comandante, Roman Kovalev, ha parlato apertamente del fatto che fino al 30% dei soldati abbandonerebbe le posizioni appena possibile.
A peggiorare il quadro, si aggiunge un esodo demografico di proporzioni storiche: dall’inizio della guerra, l’Ucraina ha perso 14 milioni di cittadini, da 42 a 28 milioni. Giovani, donne, bambini, ma soprattutto i potenziali nuovi soldati. E infatti, mentre il Parlamento valuta l’abbassamento dell’età per la leva obbligatoria agli over 18, circolano voci su un’escalation nella mobilitazione forzata.
Nel frattempo le linee difensive storiche nel Donbass crollano sotto la pressione russa. Il blitz su Kursk ha lasciato scoperti interi settori, favorendo l’accerchiamento russo e la rottura dei ponti logistici. Le condizioni al fronte sono ormai insostenibili.
La guerra ucraina è diventata una guerra degli altri. Una guerra combattuta per procura, ma non più sostenuta. Gli ucraini sono rimasti soli in un gioco geopolitico spietato, dove l’unica vera regola è l’interesse. I numeri e le dinamiche non lasciano spazio all’ottimismo: Kiev sta affrontando un crollo militare, morale e sociale, e ogni giorno che passa accorcia la distanza dalla resa, formale o informale.
Il dilemma per Kiev è amaro: continuare a combattere con risorse in esaurimento, o negoziare da una posizione di debolezza estrema. In entrambi i casi, la prospettiva è quella di un’Ucraina mutilata, demograficamente svuotata, e strategicamente abbandonata.
La guerra in Ucraina è stata raccontata troppo a lungo attraverso slogan eroici, bandiere sventolate e appelli morali. Ma oggi i numeri, i rapporti dei think tank, le testimonianze dal fronte e le dinamiche internazionali ci restituiscono un quadro diverso: quello di una sconfitta annunciata, di una guerra persa nella solitudine. E nella geopolitica, come nella guerra, la solitudine non perdona.