Ucraina. Zelensky e il “suo” Parlamento

* di Dario Ricolta

È ancora presto per poter dare un giudizio sulla possibile efficacia dell’azione politica del nuovo presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ciò che però risulta chiaro dopo l’elezione sua e del Parlamento è che ci sono tutte le premesse affinché, in modo non dichiarato, la repubblica presidenzial-parlamentare ucraina si trasformi di fatto in una repubblica presidenziale tout-court.
Di là dall’essere stato eletto con una sorprendente ma decisa maggioranza, il giovane ex-attore Zelensky ha pure conquistato un numero così alto di parlamentari del suo partito da consentirgli di governare senza alcun bisogno di fare coalizioni. Sui 423 deputati che compongono la Rada, ben 254 appartengono al suo partito Servitori del Popolo. Gli altri quattro partiti presenti hanno ciascuno tra i 25 e i 55 posti e le differenze politiche tra loro sono così forti da rendere impossibile un’opposizione unita e coerente.
Ciò che più colpisce comunque sono le caratteristiche degli eletti. Circa l’80% di loro è alla prima esperienza in Parlamento mentre i rieletti dopo un mandato sono 83 e solo 13 hanno accumulato più di una legislatura. L’età media è scesa da 48 a 41 anni mentre il numero di donne è salito da 13 a 21. Ciò che è ugualmente interessante è che il 97% di tutti i deputati è laureato e tra loro il 31% lo è in legge. Ben il 21% ha addirittura un titolo post-laurea e il 10% ha compiuto una parte degli studi all’estero.
Altri dati interessanti sono: il 42% viene da una precedente esperienza lavorativa ma solo il 27% ha avuto anche (o soltanto) un qualche incarico politico. Più esattamente, il 61% degli eletti per la prima volta non ha avuto alcuna esperienza di politica mentre tra quelli che l’hanno avuta un terzo fu semplicemente assistente di deputati precedenti.
Forse a causa di questa mancanza di legami con il passato o per la poca dimestichezza con i rischi che la vita politica offre, la prima decisione presa dalla Rada è stata quella di eliminare del tutto l’immunità parlamentare.
È risaputo che nella cosiddetta società civile una tale decisione e il fatto di provenire da un mondo totalmente estraneo alla politica sono cose guardate con grande favore, ma chi lo fa dimentica che l’immunità parlamentare è in tutte le democrazie una condizione indispensabile per garantire la libertà decisionale di un politico e metterlo al riparo da possibili ricatti o da manovre non trasparenti di qualche magistrato male intenzionato. Purtroppo c’è sempre stato anche chi ha approfittato dell’immunità per perseguire scopi illegittimi e del tutto personali, ma ciò dimostra soltanto che la soluzione perfetta non è mai di questa terra.
Quel che più conta adesso è vedere come, e se, il nuovo Parlamento di Kiev saprà affrontare la sentita esigenza di profonde riforme che sappiano ridare al Paese la certezza di uno stato di diritto, sottraendosi anche al giogo opprimente degli oligarchi locali che, fino ad ora, avevano sempre fatto il bello e il cattivo tempo.
Zelensky, forte di una sicura maggioranza, inesperta come lui ma coesa (almeno per ora), sembra volersi incamminare su di una strada di tipo decisionista. Per ora sia il governo che il Parlamento hanno sempre ed immediatamente accettato le sue “proposte” senza mai opporvisi o modificarle.
Se saprà mantenere le promesse fatte durante le campagne elettorali e cioè eliminare la corruzione, ricostruire l’economia su basi più dinamiche, pacificare la guerra civile in atto ristabilendo rapporti costruttivi con Mosca, il fatto che stia eliminando quel “balance of power” previsto dalla Costituzione gli sarà comunque perdonato, sia dalla propria popolazione che dalla comunità internazionale. Se, al contrario, non riuscirà a raggiungere questi obiettivi, ci saremo trovati di fronte ad un qualunque nuovo autocrate con tante ambizioni ma senza capacità reali. E il malcontento tornerà a dilagare.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.