Ue. Alimenti e deforestazione

di C. Alessandro Mauceri

Nel novembre 2021 la Commissione europea presentò alcune misure per limitare le importazioni di prodotti e semilavorati legati alla deforestazione. “Chi consuma le foreste non avrà accesso al mercato unico UE”, dichiarò Paolo Gentiloni, commissario Ue all’economia, il quale aggiunse che “Non sarà consentita la vendita di carne, soia, olio di palma, legno, cacao e caffè prodotti in aree di nuova deforestazione”. A fargli eco la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “Le foreste sono il nostro miglior alleato contro il cambiamento climatico. E forniscono mezzi di sussistenza a milioni di persone in tutto il mondo. Dobbiamo proteggerle”. “I prodotti acquistati e consumati nell’UE non dovrebbero contribuire alla deforestazione”, disse preannunciando “regole obbligatorie di “due diligence” per le aziende”.
Lo sorso anno la direttiva preannunciata è stata votata dal Parlamento europeo. Ma i toni appaiono molo più blandi di quanto ci si aspettava. Con 453 voti a favore, 57 contrari e 123 astensioni, il Parlamento europeo ha approvato un regolamento che mira a “ridurre” (quindi, non ad “eliminare”, come si era detto in un primo momento) le importazioni di olio di palma, carne bovina, legname, caffè, cacao, soia e altri alimenti da paesi terzi responsabili della deforestazione e del degrado delle foreste. A questi è stato chiesto di aggiungere alla lista anche carne di maiale, di pecora e di capra.
Due i punti focali che lasciano perplessi. Il primo è che a effettuare queste stime dovrebbero essere i singoli governi. Questo potrebbe comportare avere risultati e decisioni differenti da paese a paese all’interno dello spazio europeo. Proprio per cercare di risolvere questo problema, il Consiglio d’Europa e il Parlamento europeo hanno previsto l’istituzione di sistemi di valutazione comparativa per attribuire ai paesi terzi e ai paesi dell’UE un livello di rischio unico connesso alla deforestazione e al degrado forestale. Tre i livelli di “danno”: basso, standard o alto.
In base al nuovo regolamento, le aziende che immettono prodotti sul mercato dell’UE dovranno effettuare una valutazione dei rischi nella loro filiera. E inserire i dati in etichetta. “Questo nuovo strumento ha il potenziale per aprire la strada a filiere che non provocano deforestazione” ha dichiarato Christophe Hansen del Partito Popolare Europeo. La Commissione utilizzerà un sistema di benchmarking per valutare i paesi e il loro livello di rischio di deforestazione e degrado forestale causato dai prodotti che rientrano nel campo di applicazione del regolamento. Le importazioni da Paesi a basso rischio saranno soggette a obblighi minori”.
Aspetto importante la valutazione dovrebbe riguardare i prodotti provenienti da terreni disboscati solo dopo il dicembre 2020. Tutti i prodotti realizzati grazie all’abbattimento delle foreste prima di quella data sarebbero “salvi”. Si pensi a quanto avvenuto in Brasile durante la presidenza di Bolsonaro e alle polemiche per l’abbattimento degli alberi secolari della foresta Amazzonica per destinare i terreni al pascolo dei bovini da carne. In generale si tratta di misure blande e, in molti casi, poco efficaci.
Unico aspetto positivo forse l’introduzione in queste norme del concetto di “degrado forestale”. Il Consiglio europeo e il Parlamento europeo hanno convenuto di definire la “deforestazione” sulla base della definizione dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) basata sul “degrado forestale”, ossia i cambiamenti strutturali della copertura forestale, sotto forma di conversione delle foreste rigenerate naturalmente e delle foreste primarie in piantagioni forestali o in altri terreni boschivi e la conversione delle foreste primarie in foreste piantate.
Tutto questo basterà a salvare le foreste? Probabilmente no. Nel 2020, in WWF ha pubblicato un rapporto dal titolo emblematico: “Quanta foresta avete mangiato oggi?”. Obiettivo era scoprire il legame tra i consumi alimentari (e non solo) e il fenomeno della deforestazione. Secondo l’analisi del WWF, addirittura l’80% della riduzione della superficie forestale è dovuta ad abitudini “non sostenibili”. Negli ultimi 30 anni, sono stati deforestati oltre 420 milioni di ettari di terreni, una superficie grande quanto l’intera Unione Europea. Una situazione che peggiora di anno in anno: circa 10 milioni di ettari di foreste vengono abbattuti ogni anno per “creare” nuovi terreni agricoli.
I consumi dei paesi della “verde” Europa incidono pesantemente: causerebbero circa il 10% della deforestazione globale soprattutto a causa del consumo eccessivo di caffè, carne bovina e suina. Secondo il WWF, le maggiori responsabili della deforestazione sono le cosiddette “big four”, le quattro filiere del legname, della soia, della carne di manzo e dell’olio di palma. Da qualche anno, a queste si sono aggiunti altri prodotti: i prodotti lattiero-caseari, il caffè, il cacao e i capi in pelle. Secondo il WWF, l’eccessivo consumo di soia sarebbe la seconda maggiore causa di deforestazione al mondo (dopo l’allevamento bovino). Dal 1950 ad oggi, la produzione di soia è aumentata di 15 volte, superando i 300 milioni di tonnellate. Secondo alcuni studi, in Brasile, in regioni come Pantanal e Cerrado la deforestazione illegale è diffusa: gli alberi vengono abbattuti (o incendiati) per fare spazio alle piantagioni di soia (non sorprende scoprire che il Brasile è il maggiore produttore mondiale di soia).
E in Italia? Quanto incidono i consumi degli abitanti del Bel Paese? Secondo il rapporto “Stepping Up. The continuing impact of EU consumption on nature worldwide” del WWF, ogni anno, per soddisfare i consumi degli italiani vengono distrutti quasi 36mila ettari di foresta. Non direttamente in Italia, ovviamente, ma nei paesi extraeuropei. In Europa, l’Italia è tra i maggiori consumatori di prodotti responsabili della distruzione di foreste: peggio solo la Germania, responsabile di più di 43mila ettari abbattuti ogni anno. Al terzo posto la Spagna (a quota 33 mila).
Modificare le etichette non basterà a salvare il pianeta dalla deforestazione. Il problema era e continuerà ad essere lo stile di vita: consentire a massicce campagne di marketing di cambiare (in peggio) le abitudini dei consumatori.