Ue. Bruxelles e Cina chiedono una rapida ratifica della CAI raggiunto lo scorso dicembre

di Alberto Galvi

I leader dell’Ue e della Cina chiedono una rapida ratifica dell’accordo commerciale raggiunto lo scorso dicembre, dopo che le tensioni sulle accuse di violazioni dei diritti umani in Cina hanno ritardato l’approvazione dell’accordo da parte dei legislatori europei.
L’accordo globale Ue-Cina, il CAI (Comprehensive Agreement on Investment), ha richiesto sette anni di negoziati ed è stato finalmente approvato in linea di principio il 30 dicembre 2020, a seguito di un vertice virtuale tra i leader dell’Ue e cinesi. L’Ue ha affermato che era l’accordo commerciale più ambizioso che la Cina avesse mai intrapreso.  
La CAI intende sostituire 25 accordi bilaterali di investimento tra i singoli Stati membri dell’Ue e la Cina offrendo un maggiore accesso al mercato all’interno di settori specifici. In definitiva, l’obiettivo è ridurre l’incertezza per gli investitori europei in Cina. Il CAI introduce anche strumenti per chiedere maggiore trasparenza in merito ai sussidi e al comportamento generale delle imprese statali cinesi.
Per entrare in vigore, l’accordo deve ancora essere ratificato dagli Stati membri dell’Ue e dal Parlamento europeo, dove deve affrontare una massiccia opposizione. Il patto offrirebbe alle aziende europee l’accesso ai mercati cinesi e faciliterebbe gli investimenti cinesi in Europa. Stabilisce inoltre regole di parità di condizioni che impediscono agli aiuti statali di ridurre la concorrenza e disposizioni in materia di sviluppo sostenibile.
La scorsa settimana il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha dichiarato che gli sforzi per ottenere la ratifica dell’accordo da parte dei legislatori del parlamento europeo sono stati interrotti. Nella situazione attuale, con le sanzioni dell’Ue contro la Cina e le contro-sanzioni cinesi, anche contro membri del parlamento europeo, l’ambiente non è favorevole alla ratifica dell’accordo.
La sospensione segue le sanzioni “tit-for-tat” imposte sul trattamento riservato dalla Cina alla popolazione uigura nella provincia dello Xinjiang.  La Commissione europea è stata sottoposta a forti pressioni da parte degli Usa affinché imponessero sanzioni alla Cina su due questioni principali: la situazione politica a Hong Kong e le accuse di genocidio nello Xinjiang.
Gli Usa, insieme a molti altri Stati occidentali, hanno descritto il trattamento della popolazione uigura come un genocidio, e Washington ha imposto sanzioni a diversi funzionari di Pechino a marzo. I funzionari avevano anche espresso riserve sull’accordo commerciale Cina-Ue.
L’Ue ha seguito giorni dopo con le proprie misure, prendendo di mira quattro funzionari cinesi legati alle politiche di Pechino nello Xinjiang, e la Cina ha reagito sanzionando cinque legislatori del Parlamento europeo, lo stesso organo incaricato di approvare l’accordo commerciale, il quale aveva lo scopo di aprire l’enorme mercato cinese alle aziende europee e fornire una maggiore trasparenza. 
Pechino spinge l’Europa a ratificare l’accordo. Nel frattempo l’Ue ha svelato piani separati per impedire alle società straniere che sono supportate da sussidi statali di acquistare aziende europee o fare offerte per appalti pubblici e questo avrebbe un impatto sulle aziende cinesi sostenute dallo Stato che cercano di espandersi in Europa.  
La Commissione europea ha proposto un nuovo strumento per affrontare i potenziali effetti distorsivi dei sussidi esteri nel mercato unico. Il nuovo strumento è progettato per affrontare efficacemente le sovvenzioni straniere che causano distorsioni e danneggiano la parità di condizioni nel mercato unico in qualsiasi situazione. Inoltre mira a colmare il divario normativo nel mercato unico, in base al quale le sovvenzioni concesse dai governi non Ue attualmente rimangono in gran parte incontrollate, mentre le sovvenzioni concesse dagli Stati membri sono soggette a un meticoloso esame.
In questo modo saranno create le giuste condizioni affinché l’industria europea possa prosperare senza il timore di subire una concorrenza sleale.