Ue. Documento della Commissione, ‘non parlare di Natale e di madre’

Montano le polemiche, la commissaria Dalli lo ritira.

di C. Alessandro Mauceri

Il pianeta affronta problemi di rilevanza storica. pandemia, fame, povertà estrema, inquinamento, guerre, cambiamenti climatici, disoccupazione e persecuzioni. Problemi che diventano ogni giorno più difficili da risolvere anche per milioni di cittadini dell’Unione Europea. Secondo i dati ufficiali, circa un quarto dei cittadini dell’Unione vivono i povertà, e 20 milioni di loro sono bambini. Sotto il profilo ambientale, nonostante le belle promesse della presidente della Commissione europea von der Leyen e gli incontri con l’adolescente ambientalista di turno, la situazione appare sempre più difficile da gestire: a marzo 2021, il Parlamento ha dovuto ammettere che “le norme europee in materia di qualità dell’aria sono riuscite solo in parte a ridurre efficacemente l’inquinamento atmosferico e a limitarne gli effetti negativi sulla salute, sulla qualità della vita e sull’ambiente”. E a settembre la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica per decidere cosa fare. Anche la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, resta uno dei problemi sociali irrisolti per l’Ue.
Di fronte a problemi di questa portata non poteva non sorprendere il documento della Commissione europea inviato ai propri dipendenti. Un documento contenente le linee guida su come… parlare.
“La comunicazione inclusiva nasce dal fondamentali valori europei di uguaglianza e non discriminazione. Riflette l’Unione Europea il motto “Uniti nella diversità””, si legge nell’introduzione. In generale parlare di come parlare non sarebbe sbagliato. Se non fosse che, in alcuni casi, si è rischiato di cadere nel ridicolo. Ad esempio chiedendo ai funzionari di rispettare la diversità non pronunciando termini che fanno riferimento alla diversità. Secondo le linee guida nelle comunicazioni ufficiali dovrebbero essere aboliti termini come “moglie”, “marito”, “madre” e “padre”. Meglio sostituirli con parole come “coniuge”, “partner” o “genitore”, dimenticando che esistono differenze legali tra questi termini. Niente Ms. o Mr.: in questi casi, si dovrà usare il termine Mx, che però non esiste in nessuna lingua. Le linee guida impongono anche di evitare “di descrivere le persone come sposate o single”, perché questo renderebbe “le coppie conviventi invisibili”. E ancora, introducendo un discorso mai “rivolgersi a un pubblico con “signore e signori”. Da preferire “Cari colleghi, cari partecipanti”.
L’elenco delle indicazioni è lunghissimo. Le nuove regole vengono divise in modo certosino per settori. Si va dal genere alle frasi contenenti riferimenti agli LGBTQ, da contesti razziali ed etnici a frasi contenenti citazioni su culture stili di vita e credenze, da frasi in cui si parla di disabilità fino a quelle in cui c’è un qualche riferimento all’età.
Ad esempio, niente più frasi del tipo “i Rom hanno avuto un incontro con il Commissario”: meglio utilizzare “I rappresentanti rom/rom slovacchi dell’est hanno avuto un incontro con il Commissario” (tralasciando però che non tutti i Rom provengono da questa regione).
E così via, fino a indicazioni che rischiano di sfociare nel ridicolo e nel risibile. O di fornire indicazioni decisamente discutibili. Secondo le linee guida della Commissione europea è meglio “evitare di dare per scontato che tutti siano cristiani. Non tutti celebrano le feste cristiane”. Quindi, invece di dire “Il periodo natalizio”, è preferibile restare sul generico “I periodi di vacanza”. Ancora una volta chi ha dettato queste indicazioni lascia perplessi: nel primo caso ci si riferisce ad un preciso periodo dell’anno (che si sia cristiani o no), nel secondo invece la frase è generica. Ma non basta. Chi ha scritto le nuove indicazioni sulla comunicazione pare non sapere che “Le istituzioni dell’Unione europea si sono impegnate ad intavolare un dialogo aperto con queste organizzazioni religiose e non confessionali e il Parlamento europeo collabora attivamente con esse sulle politiche dell’Ue”, come si legge nella pagina istituzionale dedicata a questo argomento. Anzi, l’articolo 17 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), introdotto dal trattato di Lisbona, recita che “L’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale” e “Riconoscendone l’identità e il contributo specifico, l’Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni”. Decidere di modificare i calendari dell’Ue rischierebbe di cadere nel discriminatorio, si pensi alle polemiche sorte in Italia circa la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche. Anche in termini strettamente numerici questa decisione appare poi come una inutile forzatura: il cristianesimo è la religione più diffusa in Europa, è professato da oltre il 70% della popolazione dell’Ue.
Le direttive indicate raggiungono il ridicolo quando dicono ai dipendenti dell’Ue di usare nomi generici piuttosto che “nome cristiano”. O di non “scegliere nomi che sono tipicamente legati ad una religione”. L’esempio riportato lascia basiti: niente “Maria e John sono una coppia internazionale”, quindi. Secondo chi ha scritto le linee guida meglio dire “Malika e Julio sono una coppia internazionale”. Premesso che Julio non è l’equivalente di Giovanni, Malika, non è un vero nome proprio ma piuttosto un riconoscimento: il suo significato originale in lingua araba, infatti, è “regina”.
Anche i suggerimenti circa frasi e termini legati all’età appaiono discutibili. Per gli esperti della Commissione europea, invece che “gli anziani dipendono dai loro cari” sarebbe corretto dire “Le persone anziane possono richiedere un maggiore sostegno da parte loro cari”. Leggendo queste due frasi, chiunque abbia superato la scuola dell’obbligo capisce che il loro significato è molto diverso. Eppure per i “tecnici” della Commissione europea una dovrebbe poter sostituire l’altra.
Per rendere i documenti accessibili alle persone diversamente abili, vengono anche fornite una serie di indicazioni che dovrebbero fare riferimento, ad esempio, alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con Disabilità (UNCRPD), “che fissa le norme di base per i diritti delle persone con disabilità”. Nel documento appena pubblicato la norma viene presentata come “la prima convenzione sui diritti umani ratificato dall’Ue” e obbliga tutti i firmatari a realizzare documenti, pubblicazioni, siti web e comunicazioni accessibili a tutti. Chi ha scritto il rapporto, sembra aver dimenticato che l’Unione Europea, che pure ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità nel 2007, ha poi impiegato tre anni per confermare la propria decisione, nel 2010. Ma ha dovuto attendere un altro decennio per la ratifica definitiva di questa convenzione, avvenuta solo pochi mesi fa! Questa decisione appare quasi inutile dato che, ancora oggi, questa convenzione non è stata ratificata da 11 paesi membri su 27. Una situazione grave emersa con tutto il suo peso proprio durante la pandemia. Anzi, nella Quinta edizione della Relazione sui diritti umani del Forum europeo sulla disabilità si evidenzia come l’Ue e i paesi europei non abbiano in gran parte incluso le persone con disabilità nella loro risposta alla pandemia, sia in Europa che nella loro risposta globale. Ma di questo, la direttiva pubblicata dalla Commissione europea non ha parlato.
Così come non si dice che, nonostante le belle parole, molti documenti restano non disponibili in tutte le lingue dell’Ue.
A molti è apparso subito chiaro che utilizzare tante “belle” (si fa per dire) parole, come richiesto ai funzionari Ue, non sarebbe bastato a cambiare la situazione. Alla fine la Commissione europea se ne è accorta. É stata la stessa commissaria Ue all’Uguaglianza, Helena Dalli, a fare dietrofront: “La versione pubblicata delle linee guida non è funzionale a questo scopo. Non è un documento maturo e non va incontro ai nostri standard qualitativi. Quindi lo ritiro e lavoreremo ancora su questo documento”. E il documento oggetto di tante polemiche è stato ritirato a poche ore dalla sua diffusione.
Forse, invece che sprecare il proprio tempo (e i soldi dei contribuenti europei) sarebbe stato meglio occuparsi dei tanti problemi che rendono difficile vivere per decine e decine di milioni di cittadini Ue.