di Giovanni Caruselli –
Quando i Padri dell’Europa unita disegnarono il progetto di Europa unita, due erano le priorità a cui tutto il resto doveva essere subordinato: pace e benessere. Dopo due guerre mondiali combattute in un trentennio, a seguito delle quali l’Europa si era quasi autoaffondata, era evidente che la stabilizzazione interna di un regime di pace, almeno nell’occidente europeo, fosse considerata irrinunciabile. Ciò spingeva a pensare che federare sempre di più avrebbe significato creare legami tanto forti da rendere impensabile un altro conflitto interno. L’obiettivo fu raggiunto in pieno. Il benessere collettivo sarebbe dipeso all’inizio dal Piano Marshall e successivamente da un’attenzione al welfare per le classi più deboli, che avrebbe conferito ai governi stabilità e allontanato i pericoli di proteste popolari da gestire o di una estremizzazione della lotta politica. Anche questo obiettivo in una certa misura fu raggiunto, e ciò malgrado il vento neoliberista che soffiò negli ultimi decenni del secondo millennio.
Ma l’Europa e il mondo degli Anni cinquanta del Novecento erano molto diversi da oggi. La competizione economica era piuttosto moderata e soprattutto geograficamente delimitata. I prodotti industriali avevano marchi nazionali, il commercio interno al Continente divenne tanto fluido da permettere la nascita prima di un Mercato Comune Europeo, poi della Comunità Economica Europea. Non esistevano ancora colossi tecnologici che oggi dominano i mercati e i flussi finanziari a livello planetario e posseggono quasi il monopolio di complesse tecnologie adibite a importantissimi usi. Sarebbe nella logica delle cose stringere ancora di più i rapporti federativi per poter competere sul piano mondiale con nuovi formidabili concorrenti come la Cina, l’India e, in prospettiva, altre nazioni prepotentemente emergenti sullo scenario della storia.
Ma inevitabilmente maggiori legami federali comportano minori margini di manovra a livello nazionale e l’opinione pubblica un po’ dappertutto si è mostrata ostile a questa perdita di sovranità dei singoli Stati. Tradizioni, lingue, sistemi giuridici, leggi sono importantissimi per i popoli europei, che amano ciascuno la propria identità storica. Per l’avanzata delle Destre questa è stata la piattaforma su cui è cresciuta anno dopo anno una sorda ostilità alle nuove regole che la Commissione cerca di introdurre a livello comunitario. La tecnocrazia è stata ed è l’accusa, spesso non ingiustificata, che viene rivolta agli organi della Ue. Non bisogna ignorare le difficoltà oggettive che i leader europei hanno dovuto affrontare in questi ultimi anni: la pandemia di Covid-19, la guerra in Ucraina, il riscaldamento globale, la riduzione dell’impegno militare statunitense in Europa, e soprattutto il problema epocale dell’immigrazione illegale, molto sentito quasi dappertutto.
Dunque che cosa ci si può aspettare dalle trattative già iniziate dai gruppi parlamentari di Bruxelles usciti dalle elezioni ? L’avanzata delle Destre, non travolgente ma neanche trascurabile, dovrebbe comportare un ridimensionamento dei poteri dell’Unione, non immediato perché comporterebbe un lungo lavoro di riscrittura dei Trattati. Probabilmente saranno posti veti a singoli provvedimenti, laddove si individuerà un possibile conflitto di competenze con le singole nazioni. Anche se nessuno avrà il coraggio di contestare le tradizionali competenze esclusive di Bruxelles, cioè l’unione monetaria e doganale e il commercio con l’estero. Ma su altre questioni, come quelle del riscaldamento globale e della difesa, è prevedibile uno scontro fra maggioranza e opposizione.
L’ambizione di presentarsi al mondo come l’area più decarbonizzata del pianeta dovrà fare i conti con i costi di questo progetto e con la variante di una transizione soft. La politica dei dazi non potrà essere imposta ai 27 Paesi negli stessi termini, dal momento che in alcuni di essi le ritorsioni provocherebbero ingenti danni alle esportazioni. Le regole sull’immigrazione probabilmente saranno ridefinite nel senso di una maggiore rigidità. In altre parole la prospettiva confederale guadagnerà terreno. Per usare un gergo calcistico si può dire che si giocherà più in difesa dell’esistente che in attacco.
Dal canto loro le Destre si sono mosse nell’ottica di evitare lo scontro frontale. L’espulsione dei neonazisti dell’AFD dal gruppo parlamentare ha fatto tirare un sospiro di sollievo al Centro e alla Sinistra dell’arco parlamentare e la stessa Marine Le Pen, che ha stravinto in Francia, si è affrettata a dire che la sua prospettiva non è quella di distruggere l’Unione Europea ma quella di dare vita a un’Unione Europea diversa. Giorgia Meloni ha escluso un’alleanza con i socialisti a Bruxelles, ma ha lasciato spazio ad altre opzioni. Si ha l’impressione che una posizione centrista sia l’obiettivo di coloro che venivano definiti antieuropeisti. Il momento storico è tale da non permettere perdite di tempo con il Medio Oriente in fiamme e il Cremlino che chiede l’annessione di quattro province ucraine per porre termine alla guerra e la possibile rielezione di Trump alla guida degli Usa. I giochi sono aperti ma bisogna fare presto.